L’incidente è avvenuto il 13 marzo, su una piattaforma petrolifera al largo delle coste delle isole Kerkennah, nella regione di Sfax in Tunisia, a 120 km da Lampedusa.
La fuoriuscita di petrolio pare esser stata di modeste entità ed è stata fermata il 14 marzo.
Secondo il Ministero dell’Industria e dell’Energia tunisino, sarebbe occorsa “una perdita di petrolio alla sommità del pozzo, Cercina 7 (che dista circa 7 km dalla costa), derivanti da una rottura della provetta di controllo, un tubo con un diametro di circa 10 millimetri”. Nessun dato sulla quantità dispersa di combustibile fossile è al momento disponibile.
Ad oggi le autorità tunisine hanno dichiarato che è stato attivato il protocollo di sicurezza e di contenimento disastri ambientali e sono in corso le procedure di bonifica e valutazione d’impatto ambientale. Rimane silenziosa la piccola compagnia tunisina, Thyna Petroleum Services, che si ritiene al momento responsabile dell’incidente. I danni economici e ambientali non sono ancora stati valutati.
Nonostante la notizia abbia impiegato qualche giorno per arrivare a noi, l’impatto mediatico è garantito e le associazioni ambientaliste hanno immediatamente chiesto al Governo di intervenire, affinché si faccia chiarezza sull’entità dei danni e sulle responsabilità dell’incidente.
«Questo incidente ci dimostra che è importante andare a votare e che occorre portare la questione nelle reti europee, aprendo un tavolo di confronto con i Paesi del Mediterraneo» commenta Enzo Di Salvatore del Coordinamento nazionale No Triv.
Non meno determinata è il presidente di Legambiente Rossella Muroni: «Non occorrono incidenti del genere per dimostrare che le attività di ricerca e di estrazione di idrocarburi possono avere un impatto rilevante sull’ecosistema marino, ma questi episodi drammatici fanno da ulteriore monito sulle possibili conseguenze delle attività delle piattaforme».
Ora attendiamo i commenti in risposta di coloro che non andranno a votare il 17 aprile. Si presume sarà una battaglia all’ultimo post.