Nella sharing economy vengono sempre più spesso proposti modelli economici di tipo collaborativo che permettono una più facile condivisione di beni e servizi altrimenti sottoutilizzati nelle loro potenzialità.
Per il settore dei trasporti, già nel 2015 il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile hanno istituito l’Osservatorio Nazionale Sharing Mobility.
Tante le imprese e le start-up che si sono affacciate al mercato appoggiandosi a questa filosofia per certi versi innovativa e che oggi, dopo i primi tentennamenti, vedono il loro business crescere giorno per giorno.
Oggi si parla di crowdshipping o crowdsourced shipping (letteralmente “spedizioni fatte per mezzo della folla”) e sembra questa la vera rivoluzione. Il concetto fa riferimento a un trasferimento delle merci che avviene da parte di un privato per conto di terzi, un altro privato o anche una azienda.
Perciò chi accetta di ricevere una spedizione per mezzo del crowdshipping sfrutta il servizio di un crowdshipper ovvero un individuo privato che, con i suoi mezzi, per esempio nell’abituale tragitto casa-lavoro, decide di farsi carico anche della funzione di corriere in cambio di una piccola remunerazione.
Di fatto, così facendo, il crowdshipping riduce drasticamente il numero di viaggi complessivi dei veicoli, aumentando il fattore di carico per tutti quei veicoli privati che normalmente viaggiano a bagagliaio vuoto. Un’idea veramente sostenibile e a favore dell’ambiente, a patto che il crowdshipper non diventi un corriere di professione effettuando esclusivamente viaggi esclusivamente dedicati.
Il crowdshipping può essere attuato su scala urbana, nazionale ed anche internazionale. Nelle consegne urbane la distanza tra chi riceve e chi consegna varia tra gli 8 e i 30 Km. In questo senso, il fenomeno, sembra aver attecchito bene nella fornitura di cibi caldi e per la spesa tradizionale delle famiglie.
Sul piano nazionale non mancano le start-up italiane come SiWeGO e TocTocBox, ma anche alcune realtà estere iniziano a prendere campo come Amazon Flex – che al momento attivo in circa 50 città americane – e Cotransportage in Francia, che propone di sfruttare lo spazio inutilizzato dei veicoli pesanti. A livello internazionale, invece, il servizio sembra avere migliori probabilità di successo per tratte poco connesse o particolarmente costose in particolar modo in Asia, Africa e America del sud. I progetti internazionali si sono quindi sostanzialmente concentrati sulla vendita dello spazio residuo nella valigia di chi viaggia da un continente all’altro.
Cosa manca? Manca una legislazione efficace circa i diritti di chi esercita questo lavoro che, solitamente, non ha un contratto d’azienda con chi fornisce le merci da trasportare e quindi non gode di quei diritti tipici derivanti dalle tradizionali attività professionali. Tuttavia occorre considerare che per godere appieno dei vantaggi ambientali di questa pratica, il crowdshipping, non dovrebbe essere considerato come un lavoro vero e proprio e, di conseguenza, la remunerazione dovrebbe essere vista come un semplice rimborso con cui attutire le spese del viaggio che si effettua quotidianamente.