Il super archivio STORM dei pazienti COVID-19, coordinato dall’Università di Milano-Bicocca in sinergia con l’ASST di Monza, alla base di una ricerca pubblicata su “Science” che suggerisce nuove prospettive per gli interventi terapeutici
Un consorzio internazionale di ricercatori, coordinati dal National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) e dalla Rockefeller University (New York), ha scoperto perché alcuni soggetti con COVID-19 sviluppano una forma particolarmente grave di malattia. I risultati contribuiscono anche a spiegare la ragione per cui i soggetti di sesso maschile contraggano forme gravi di malattia in misura maggiore rispetto alla popolazione femminile.
I risultati dello studio, pubblicati su due lavori apparsi oggi su “Science“, dimostrano che difetti genetici e alterazioni immunologiche che compromettono la produzione di interferoni e la risposta cellulare a queste molecole sono alla base di forme molto gravi di COVID-19.
L’Università di Milano-Bicocca, in sinergia con l’ASST di Monza, ha contribuito in modo sostanziale a questi importanti risultati contribuendo con il progetto “STORM, Studio osservazionale sulla storia naturale dei pazienti ospedalizzati per Sars-Cov-2”, un archivio di dati clinici, diagnostici e terapeutici relativi ai pazienti COVID-19 ricoverati presso l’Ospedale San Gerardo di Monza e presso l’Ospedale di Desio, coordinato da Paolo Bonfanti, professore di Malattie infettive dell’Ateneo. Per la ricerca pubblicata su “Science”, in particolare, è stato fondamentale l’apporto della bio-banca associata a STORM per la raccolta del materiale biologico residuo derivante da tamponi e prelievi dei pazienti, creata su iniziativa di Andrea Biondi, professore di Pediatria di Milano-Bicocca. STORM ha contribuito con un campione di dati clinici riguardanti 728 pazienti: 300 ospedalizzati con grave polmonite da COVID-19 e 428 asintomatici e lievemente sintomatici o sani.
«La variabilità clinica è immensa nelle persone affette da COVID-19 – affermano Paolo Bonfanti e Andrea Biondi – variando dall’infezione asintomatica alla morte rapida. Ad oggi sono tre i fattori di rischio noti per le forme gravi di malattia: il progredire dell’età, il sesso maschile e la presenza di co-morbilità come l’ipertensione, il diabete o le malattie respiratorie croniche. Tuttavia, questi fattori di rischio non sono in grado da soli di spiegare la ragione per cui, a parità di condizioni, in alcuni soggetti la malattia evolva in una forma grave ed in altri no. Visto il progredire preoccupante della pandemia di COVID-19, la comprensione delle cause e dei meccanismi che rendono COVID-19 potenzialmente letale è fondamentale».
Negli studi pubblicati su Science più del 10 per cento dei pazienti con forme molto gravi di COVID-19 hanno risposte immunitarie anomale, con produzione di autoanticorpi che neutralizzano gli interferoni di tipo I, bloccandone l’attività antivirale nei confronti del virus SARS-CoV-2, responsabile della malattia. Inoltre, si è scoperto che circa il 3,5 per cento dei pazienti presenta alterazioni genetiche che impediscono la produzione di interferoni di tipo I o la risposta cellulare a tali molecole. Di conseguenza, in entrambi i casi, i pazienti mancano di risposte immunitarie efficaci contro il virus, che sono di norma assicurate dagli interferoni di tipo I, un gruppo di 17 proteine essenziali per proteggere l’organismo dal virus. I difetti genetici o l’autoimmunità contro gli interferoni contribuiscono quindi in modo importante a causare forme gravi, potenzialmente fatali, di COVID-19.
«Questi risultati – concludono Bonfanti e Biondi – potrebbero avere implicazioni terapeutiche molto importanti: nei soggetti con difetti genetici di produzione degli interferoni di tipo I è possibile pensare alla somministrazione di tali molecole, almeno nelle fasi iniziali di malattia, quando l’azione degli interferoni è particolarmente importante. Nei pazienti con autoanticorpi anti-interferone è invece possibile pensare a terapie che rimuovano gli autoanticorpi dal sangue (plasmaferesi) o alla somministrazione di farmaci che eliminino le cellule produttrici degli autoanticorpi».