Humana People to People Italia e Occhio del Riciclone Onlus hanno presentano lo studio “Indumenti usati: come rispettare il mandato del cittadino?”, che mette sotto la lente di ingrandimento tutto il percorso degli indumenti usati raccolti nei cassonetti gialli.
Le 110mila tonnellate di vestiti usati che vengono raccolte mediamente ogni anno, finiscono per alimentare un giro d’affari di circa 200 milioni di euro in Italia. Nella maggior parte dei casi, quando i cittadini conferiscono i loro sacchetti nel cassonetto giallo, tutto questo lo ignorano completamente. Per ciò sarebbe necessaria una maggiore informazione da parte degli operatori, che facesse chiarezza in maniera definitiva sul percorso di questo abiti.
Ma il problema non si ferma qui. Come dimostrano le recenti inchieste sulla Terra dei Fuochi e su Mafia Capitale, sempre più frequentemente gli abiti raccolti finiscono per alimentare traffici illeciti, soprattutto a causa di una legislazione non particolarmente chiara e puntuale. Il criterio della trasparenza non è un requisito richiesto nei bandi di gara per l’assegnazione del servizio per la raccolta degli abiti usati: non viene richiesto un certificato antimafia, né chiarimenti sull’utilizzo che di quei vestiti verrà fatto. La logica conseguenza è che, accanto a quanti operano praticando criteri di correttezza, trovano spazio anche soggetti che alimentano la pratica del contrabbando, il riciclaggio di denaro sporco e il traffico illecito di rifiuti.
Nella relazione 2013 sulle attività svolte dalla Direzione nazionale Antimafia si legge che le indagini “hanno dimostrato come buona parte delle donazioni di indumenti usati che i cittadini fanno per solidarietà, finiscono per alimentare un traffico illecito dal quale camorristi e solidali traggono enormi profitti”. Una piaga – spiega il rapporto presentato dalle associazioni – è la pratica massiccia del contrabbando; esiste poi l’abitudine tra alcuni operatori del settore, non solo di aggirare le norme di selezione e igienizzazione dei rifiuti tessili, ma anche di dirottarne il percorso falsificando formulari e bolle di trasporto. Eppure, grazie alla raccolta nel 2013 di 110.000 tonnellate di scarti tessili, in Italia e’ stata evitata l’emissione in atmosfera di una quantità di CO2 equivalente compresa tra le 396.000 e le 451.000 tonnellate e sono stati risparmiati 462 miliardi di litri d’acqua.
La filiera della raccolta degli abiti usati
La filiera degli indumenti usati raccolti in Italia si sviluppa in varie fasi prima di arrivare all’utilizzatore finale dell’abito usato o all’industria del riciclo e del recupero.
Nel corso della filiera intervengono vari attori e soggetti gestori: ognuno di essi si posiziona in una o più fasi della filiera in virtù delle sue competenze, della sua capacità operativa e della sua abilità di posizionamento sul mercato (o, purtroppo, come accade spesso in Italia, attraverso l’intimidazione).
È frequente che piccole cooperative radicate nel territorio vendano a grandi intermediari che a loro volta vendono ai gestori di impianti per la classificazione e l’igienizzazione e ai distributori intermedi che riforniscono di merci i venditori al dettaglio in Italia o in paesi importatori; in questi casi la cooperativa non è altro che l’appendice visibile della filiera, ossia quella che funziona da interfaccia con i cittadini e ottiene la loro fiducia.
O, al contrario, può essere un unico soggetto gestore a coprire quasi tutte le fasi della filiera: la cooperativa Humana, ad esempio, riunisce le competenze e le capacità per controllare, attraverso gli enti ad essa collegati, la filiera fino ai venditori al dettaglio (facendo vendita all’ingrosso) o ai consumatori finali (attraverso la sua rete di negozi).