È un vero disastro ambientale che si sta consumando in queste settimane nelle acque settentrionali dell’isola di Chiloé, 1000 km a sud di Santiago del Cile.
Il governo quantifica una perdita di almeno 100 mila tonnellate di salmone e una stima ancora maggiore è quella riferita a sardine, sgombri, acciughe, crostacei, molluschi e meduse. L’alterazione dell’ecosistema costiero sta provocando l’allontanamento di uccelli predatori, quali albatri e procellarie, che migrano alla ricerca di cibo, ma si contano già anche casi di spiaggiamento di grossi mammiferi come balene e leoni marini.
Causa del disastro è la cosiddetta «Red Tide» o «Marea roja”»: un’esplosione incontrollata di alghe microscopiche, perlopiù dinoflagellate, che altera non solo il colore dell’acqua oceanica – un inedito rosso sangue – ma anche la composizione chimica per via del rilascio di tossine di origine batterica del genere Alexandrium, letali per la fauna e fonte di diverse patologie per l’uomo. Non per nulla si parla di HaBs (Harmuful algal Blooms), una «fioritura» di alghe in questo caso altamente nocive.
Gli scienziati non sembrano aver dubbi nell’attribuirne la responsabilità a El Niño versione 2016. Il fenomeno che sta rivoluzionando la circolazione oceanica mondiale è probabilmente il fattore chiave nella formazione della marea rossa: riscaldando l’oceano e aumentando (in aggiunta al riscaldamento dell’atmosfera) l’evaporazione dell’acqua che si arricchisce di nutrienti, essa crea le condizioni ideali per la fioritura algale. Uno dei tanti fenomeni legati ai cambiamenti climatici in atto.
Ma ambientalisti e piccoli pescatori non accusano solo El Niño di questo disastro. Sotto i riflettori c’è anche l’accumulo dei nutrienti nelle acque causato dagli scarichi in mare di grandi quantità di materiale organico e sostanze azotate generati dalle operazioni di ingrasso dei pesci degli allevamenti di salmone intensivi. Raggiunto l’oceano queste sostanze si depositano sui fondali, rimanendo disponibili per lungo tempo e diventando delle riserve di nutrienti per le fioriture algali, presenti e future.
Il Cile è infatti il secondo produttore mondiale di salmone, dopo la Norvegia, e buona parte della popolazione dell’isola è impiegata nell’attività ittica intensiva.
A raccontare ciò che sta accadendo sulle coste del Cile è il vicario apostolico di Aysen, monsignor Luigi Infanti de la Mora OSM, figlio di emigranti friulani che non usa mezzi termini: «Chiloè: il mare è stato ucciso. Ieri era Aysen, oggi Chiloé, e domani ci saranno altre crisi. Questi fatti non rappresentano un caso isolato, hanno cause e responsabili: sono gli effetti di un modello di sviluppo e industrializzazione pianificata per sfruttare le risorse naturali del sud e di tutto il Cile».
Il vescovo continua: «Sono state privatizzate la terra, l’acqua e il mare, ma ben prima sono state privatizzate le coscienze e l’intera organizzazione sociale e oggi continuiamo a subirne le conseguenze». La denuncia: «Uno sfruttamento esagerato delle risorse che vengono consegnate alle multinazionali che cercano solo il proprio tornaconto, lasciando allo stremo un’intera regione».
«Quella del Cile non è solo una crisi ambientale, rappresenta anche una crisi morale». Se un modello economico rovina l’ambiente in cui viviamo, la nostra casa comune, se danneggia la nostra vita, la nostra cultura, le nostre tradizioni che sono la nostra più grande ricchezza e mina gravemente la dignità delle persone e dell’intera popolazione, questa è la morte. Perché degradare l’ambiente è ferire gravemente noi stessi».