In America oltre 290 milioni di visitatori all’anno varcano i gates dei siti naturali generando introiti economici in ogni modo. In Italia sono un tesoro che non sfruttiamo. Perché?
Di Emanuele Bompan
[dropcap]L[/dropcap]o scorso anno i parchi americani compivano il centesimo anniversario.
Nel 1916, in piena guerra, Woodrow Wilson istituì il National Park Service (Nps) «Per conservare i più importanti siti naturali e lasciarli intatti per le future generazioni». Oggi i parchi nazionali sono più di 400 in tutto il paese, attirano oltre 290 milioni di visitatori. Ma se in America i parchi sono un paziente importante, ma che mostra segni di indebolimento, la situazione in Italia è ancora peggiore, sia per la scarsità strutturale di fondi, sia per la pessima governance amministrativa e le infiltrazioni criminali nelle direzioni di alcuni parchi.
BioEcoGeo ha analizzato budget, organigrammi e intervistato addetti ai lavori per avere un quadro completo dello stato di salute dei parchi.
In Italia oggi circa il 10% del territorio è composto da aree naturalistiche tutelate, un sistema composto da 24 parchi nazionali, 152 parchi regionali, 30 aree marine protette e un ulteriore mosaico costituito da 147 riserve statali, 418 regionali e più di 600 aree naturalistiche. Secondo le stime del Ministero dell’Ambiente oltre 100 milioni di persone varcano la soglia dei parchi italiani. Visite per lo più di mezza giornata e spesso provenienti dal territorio stesso. Non certo un modello di turismo naturale virtuoso, come ad esempio quello americano che ha il 10% delle visite dall’estero e il 12% che rimane per più notti dentro il parco, con un’importante quota di raccolta degli ingressi e dei permessi di campeggio.
Parchi allo sbando
A essere economicamente esposti non sono solo i parchi nazionali. Secondo Antonio Nicoletti, responsabile Parchi e Aree Protette di Legambiente, «Chi più risente della crisi sono i parchi regionali, vittime della spending review. Su di essi si è abbattuta la scure dei tagli indiscriminati. I parchi nazionali stanno meglio dal punto di vista finanziario e le risorse sono aumentate. Il vero problema per gli enti nazionali è la gestione, assolutamente inadeguata». Secondo una revisione degli organigrammi fatta da BioEcoGeo, almeno 11 parchi, alla fine di agosto 2016, erano privi di un Presidente, di un direttore o del consiglio di amministrazione. Il Parco della Sila è commissariato da oltre tre anni, e secondo Nicoletti, l’amministrazione è inadeguata. Nel parco del Gargano, della Majella, del Pollino e del Circeo fino al settembre dello scorso anno mancava ancora un direttore. «La situazione è particolarmente acuta a sud, dove ci sono numerose figure non conformi al dettato della legge», aggiunge cupo Nicoletti.
Almeno 11 parchi, alla fine di agosto 2016, erano privi di un Presidente, di un direttore o del consiglio di amministrazione.
Il Parco Nazionale del Pollino, sito tra Basilicata e Calabria, è considerato da anni la pecora nera dei parchi italiani per una gestione insufficiente delle risorse, la mancanza di una nomina di un direttore che abbia i requisiti di legge. Al suo interno Enel ha deciso di convertire la vecchia centrale a olio del Mercure in un impianto a biomasse, uno dei più grandi d’Europa, suscitando un coro di polemiche da cittadini e ambientalisti. Secondo Ferdinando Laghi, combattivo vicepresidente dell’Associazione Medici per l’Ambiente ISDE-Italia, la centrale da 41 Mw del Mercure sarebbe controversa perché non rispetterebbe le più recenti tendenze “virtuose” nel campo delle biomasse, soprattutto la filiera corta di approvvigionamento grazie alla corretta gestione agroforestale e la riduzione dei trasporti e delle relative emissioni inquinanti. Il tutto nel centro di un parco. Elevate le emissioni causate dagli oltre cento viaggi giornalieri dei camion che trasportano il legname, senza considerare la bassa efficienza della centrale.
Il Presidente del Parco del Pollino, Domenico Pappaterra, in carica dal 2007, ribatte che la gestione del parco è complessa e complicata. «Questo è un parco di 200mila ettari, uno dei più grandi d’Europa, fortemente antropizzato, con 170mila persone, a cavallo tra due regioni, 56 comuni, tre province», spiega Pappaterra. «Noi abbiamo rilanciato il parco sul piano dell’offerta turistica, valorizzando i segmenti: chi viene nel Pollino viene per la natura, per la filiera enogastronomica. Sul fiume Lao si fa rafting, con 30mila presenze ogni anno. Quest’anno, inoltre, si è registrato un aumento di oltre il 30% delle presenze di studenti nelle strutture ricettive all’interno del perimetro del Parco».
Se Pappaterra è in carica da dieci anni (troppi per un presidente verrebbe da pensare), da più di tre non c’è un direttore. Un vuoto dirigenziale non trascurabile.
«Colpa della normativa speciale dell’albo del ministero che non è aggiornato», continua Pappaterra. I direttori infatti vengono selezionati dal ministro da una rosa di tre nomi dati dal parco e presi da una lista speciale redatta dal Ministero. E nel caso del Pollino non è colpa di Roma. «Non ci sono direttori che vengono da qua, capisce? Come facciamo a sceglierli?», lamenta Pappaterra. In realtà è difficile capire perché non vogliono scegliere un direttore che venga dal Piemonte o dalla Sicilia. O forse sì?
Di sicuro la centrale del Mercure è una spina nel fianco per il Parco e allo stesso tempo una manna dal cielo. Già, perché frutta ogni anno 500mila euro di compensazione, incluso il supporto ad un osservatorio ambientale autonomo. Non ci stanno gli ambientalisti. «Noi ci opponiamo fermamente a questo progetto che devasta il parco e porta inquinamento. Questo tipo di centrale sta accentuando fenomeni illeciti di taglio del legname e il parco non ha le risorse per contrastarlo, mentre il governo ha cancellato il corpo forestale», spiega Laghi. La centrale a regime richiederebbe più legname di quanto disponibile localmente. Aprendo così le porte all’Ndrangheta verso il taglio illecito di legname, fenomeno in crescita sia nel Pollino che nella Sila. La buona notizia è che Laghi è entrato a far parte del direttivo dell’ente parco» spiega Nicoletti. «e questo ha portato sicuramente valore aggiunto al Parco».
Anche per il Parco della Sila, il fenomeno del disboscamento è una piaga ormai fuori controllo. Nella Sila è aumentato il disboscamento abusivo dei larici ultracentenari così come sono aumentati i fenomeni di abbandono illecito di rifiuti. Nonostante il parco sia, secondo Fondazione Univerde (di cui è presidente Pecoraro Scanio), uno dei “più noti agli italiani”, esso registra un numero limitato di visitatori e presenta un’offerta scadente di servizi. La nota positiva è il ritorno del trenino a vapore dopo otto anni di inattività.
Cattiva amministrazione anche nei parchi regionali della Sicilia, colpiti da rigidi tagli per le attività scientifiche e di controllo, il personale è costituito esclusivamente da soli rappresentanti degli enti locali. Nel 2012, denuncia Legambiente Sicilia, su richiesta dei presidenti degli enti parco siciliani, sono state espunte le rappresentanze del mondo scientifico e di quello ambientalista. Oggi 260 dipendenti pubblici, per un costo di 12 milioni di euro, gestiscono quelli che sono considerati i peggiori parchi regionali d’Italia, tra disboscamento, illeciti e generale incuria. È diffusa la nomina di collaboratori provenienti dallo staff di vari politici, assolutamente inadatti al ruolo, denunciano i legambientini. Zoologi, botanici, geografi e forestali qualificati sono quasi completamente assenti.
Situazione imbarazzante anche per il parco nazionale dello Stelvio. Il 23 febbraio 2016 è entrata in vigore la Legge regionale della Lombardia n. 39 che di fatto ha smembrato in tre parti la gestione del Parco. L’operazione avrebbe dovuto portare ad un rilancio di ognuna delle tre parti sfruttando il piano di marketing territoriale. Quali saranno le conseguenze, è troppo presto per dirlo. Bisogna sperare in una omogeneità di intenti e buona coordinazione. Certo è che perdendo lo status di “parco nazionale”, rischiano pesantemente di non venire attuati una serie di progetti di ricerca sull’ambiente e di sviluppo. Come il piano di collaborazione con il parco dell’Engadina e la partecipazione progetto Peace, il primo Parco europeo delle Alpi centrali, nato da un’idea di Mountain Wilderness nel 1992, recepito con entusiasmo da Alexander Langer che lo aveva presentato al Parlamento europeo come progetto pilota di cooperazione transfrontaliera. La declassificazione non aiuterà nemmeno con il marketing, d’altronde un parco nazionale è tale per la rilevanza ambientale che svolge.
Un nuovo modello?
In America gran parte del flusso di cassa è dato dagli ingressi ai parchi e dai permessi per campeggiare, oltre che dai centri visitatori dati in licenza. In Italia molti dei parchi includono paesi e aree abitate e sono spesso complicati da presidiare all’ingresso. Ma non mancano le soluzioni. Servirebbe ad esempio una tassa di ingresso tipo casello, pagabile con Viacard o online. Stesso discorso per le attività. Oggi all’interno dei parchi si svolgono attività come trekking, rafting, ecc… spesso gestite anche da guide non autorizzate, quasi sempre private. Una gestione accentrata del parco di questi servizi, se curati in maniera manageriale, potrebbe creare un importante flusso di cassa utile per i progetti di monitoraggio, salvaguardia della biodiversità e lotta alla criminalità.
Il lassez-faire non ha più ragion d’esistere.
Fanes, la perla nascosta che fa ben sperare
Con una superficie di 25.680 ettari, il Parco Naturale Fanes-Senes-Braies è uno dei più grandi dell’Alto Adige. Circondato dalla cornice montuosa più bella del mondo (Croda del Becco, Croda Rossa, Cima 11, l’ampezzanese) il parco regionale è uno dei gioielli italiani, per bellezza e per gestione. L’area è un museo geologico che racconta la storia della formazione del pianeta con i suoi strati di rocce sedimentarie come calcari e dolomie che si sono sviluppate grazie alla sedimentazione di microorganismi sul fondo marino. Una delle caratteristiche principali del parco naturale è la geomofologia, caratterizzata da un intenso carsismo. L’anidride carbonica contenuta nell’acqua dei tempi passati, ha intaccato e disciolto in un modo molto particolare le formazioni calcaree riconducibili al Giurassico. Parte del parco naturale è anche il lago di Braies, la perla delle Dolomiti che è considerato il lago più suggestivo delle
Dolomiti. Il parco negli ultimi anni ha investito nella riqualificazione del centro accoglienza visitatori e nella gestione di sentieri, mentre l’offerta dei rifugi permette numerose attività, dal classico alpinismo ai ciclo-turismo in MTB sull’Alta Via delle Dolomiti n.1 da fare per 3-4 giorni. Basta vedere la qualità e la professionalità dell’accoglienza del rifugio Pederù, per capire che non basta avere dei servizi ma serve che siano di ottimo livello per attirare turisti rispettosi da tutta Europa. Sentieri in perfetto ordine, gestione forestale dei controlli su fauna e flora, innovazione nell’offerta e sinergia parco-abitanti sono la ricetta del successo di questo parco, tutto da scoprire.