Il caso della discarica di Bussi sul Tirino (Pescara) sbarca al Parlamento Europeo e diventa protagonista di un’interrogazione alla Commissione europea in cui si chiede di intervenire e verificare se l’Italia abbia violato le direttive europee sulla qualità delle acque (Ue 2000/60/Ce), e sulla protezione delle stesse acque (2006/118/Ce), nonché le direttive sui rifiuti e la direttiva 2003/4/Ce sull’accesso del pubblico alle informazioni ambientali che consente di capire a che punto sono i monitoraggi in corso.

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A chiederlo sono Piernicola Pedicini e Daniela Aiuto, rispettivamente capo-delegazione e portavoce eurodeputata del M5S al Parlamento europeo che hanno ritenuto necessario accendere i riflettori europei sulla questione ambientale della zona, dopo il passaggio della vicenda giudiziaria sull’inquinamento di Bussi alla Corte d’Appello di L’Aquila.
Ciò che chiede alla Commissione europea è se l’Italia abbia rispettato o meno gli obblighi derivanti dalle normative, in particolare, quelli di protezione di “tutte le forme d’acqua (interne, di superficie, di transizione, costiere e sotterranee); ripristinare gli ecosistemi intorno a questi corpi d’acqua; ridurre l’inquinamento nei corpi idrici; garantire un uso sostenibile delle acque da parte di individui e imprese”. In caso contrario, potrebbero esserci i presupposti per aprire una procedura d’infrazione contro l’Italia, in considerazione dell’attuale situazione in cui versa la zona interessata.

La situazione attuale
In un comunicato del Forum H2O si legge l’esasperazione per una bonifica mai attuata e un accordo di programma saltato: “In questi anni non si è bonificato un grammo di suolo; la falda è inquinatissima e porta i veleni verso valle. Sono passati 12 anni dal primo piano di caratterizzazione dell’area industriale in cui emergeva la situazione di inquinamento presentato dalla Solvay al Comune di Bussi nel 2004; nove anni dai sequestri delle discariche Tremonti, 2A e 2B. La strada maestra è la bonifica, costringendo le due multinazionali presenti a vario titolo nel sito, Solvay ed Edison, a fare semplicemente quanto previsto dalla legge.”
Gli unici lavori eseguiti nell’area di bonifica ex-Montedison di Bussi sono stati una copertura e una barriera fisica laterale al sito che, secondo quanto riportato dall’Arpa Abruzzo, non risultano efficaci a fermare la fuoriuscita dei contaminanti che sprofondano verticalmente nella falda acquifera a diretto contatto con la discarica. Insomma, nove anni fa il Corpo Forestale scopriva il sito più inquinato d’Europa e ad oggi resta ancora il sito più inquinato d’Europa.

[dropcap]M[/dropcap]a a finire sotto la lente d’ingrandimento di associazioni ambientaliste e di difesa dell’acqua e dei terreni non è solo la mancata bonifica da parte di chi ha inquinato, e questo già basterebbe a sollevare la battaglia, ma anche l’accordo di reindustrializzazione che ha seguito una procedura quantomeno illogica e stramba. Insomma, laddove c’è bisogno di ripulire, proteggere, ripristinare e monitorare, c’è chi preferisce costruire un piano industriale in nome della creazione di posti di lavoro, pure sacrosanti. In che modo?
Il Comune di Bussi acquista i terreni per poi rivenderli a privati. In sostanza l’ipotesi di accordo prevede che il Sito Industriale, per la cui bonifica servirebbero centinaia di milioni di euro, vasto decine di ettari, da cui ancora oggi fuoriescono inquinanti cancerogeni verso valle, verrebbe “nazionalizzato” con il passaggio della proprietà da una multinazionale, la Solvay, ad un comune, quello di Bussi, di 2500 abitanti. La proprietà dei veleni, quindi, passerebbe al pubblico, rendendo lecita la domanda sul perché non sia direttamente Solvay a cedere all’investitore privato le aree in questione, anziché passare per il pubblico che poi darebbe in comodato l’area a un privato per consentire la realizzazione di un investimento.
In pratica, l’ente pubblico acquisisce un’area contaminata e dovrebbe riuscire a venderlo a privati, con tutta la necessità e la difficoltà della bonifica. Inoltre, si legge ancora dal comunicato del Forum H2O: “L’unica zona del sito industriale in cui si farebbero interventi è l’Area Medavox. Qui i veleni sarebbero semplicemente “tombati” per decenni sotto una “solettona” di cemento e si cercherebbe di agire a valle curando i “sintomi” – l’inquinamento della falda acquifera – e non la causa – la rimozione dei veleni. I terreni dell’area MEDAVOX sono inquinatissimi, con dieci sostanze pericolose, cancerogene e/o tossiche oltre i limiti di legge. Il suolo è inquinato fino a 10 metri di profondità. Non lo diciamo noi ma il Piano di Caratterizzazione predisposto da Solvay e approvato dal Ministero dell’Ambiente”
[dropcap]L[/dropcap]a contestazione all’accordo riguarda anche la mancanza di trasparenza e partecipazione, di qui anche l’interrogazione parlamentare in Commissione Europea, rispetto alle bozze dell’accordo e a documenti essenziali sulla sicurezza delle aree come l’Analisi di Rischio, oppure le modalità di intervento per le diverse zone, che restano sotto chiave, in barba a Convenzioni internazionali come la Convenzione di Aarhus, pienamente recepita dalle direttive comunitarie, che obbligano gli enti a metterle a disposizione del pubblico per le osservazioni. Una mancanza di trasparenza e linearità che ha accompagnato la vicenda fin dall’inizio. Le domande che tutti si pongono, infatti, è il caso di dirlo, sono a monte: è stata attivata per il sito industriale la procedura di legge per l’individuazione del responsabile della contaminazione, che materialmente avrebbe dovuto pagare la bonifica? Il Piano di Bonifica previsto dal Testo Unico dell’Ambiente D.lgs.152/2006 dov’è? E ancora, si sta mettendo in mora Edison per la bonifica della Tremonti e delle 2A e 2B? E infine, sulle discariche 2A e 2B, quando si chiude la gara per procedere con il progetto definitivo e poi quello esecutivo di bonifica, visto che ad oggi siamo ancora al preliminare dopo dieci anni di commissariamento?

Commissariamento che, secondo la legge di stabilità, sarebbe dovuto terminare il 30 giugno 2016, ma che ha dato di fatto vita  a un’ulteriore prosecuzione dell’attività commissariale nel cui accordo di programma si attribuiscono  una serie di compiti, sia di coordinamento, in materia di questo accordo, sia di realizzazione degli interventi nonché di rendicontazione periodica.