L’assessore all’agricoltura della Provincia autonoma di Trento, Michele Dallapiccola, spiega sul giornale Il Dolomiti, il via libera della giunta provinciale ai criteri e alle modalità di costituzione della Banca della Terra, l’inventario dei terreni pubblici e privati incolti che i proprietari mettono temporaneamente a disposizione di quanti ne facciano richiesta per rimetterle in produzione.
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«La finalità di questo strumento – spiega Michele Dallapiccola – è quella di contemperare fenomeni di abbandono e mancata coltivazione con l’esigenza di facilitare il reperimento sul mercato fondiario di superfici per l’avviamento di nuove imprese agricole, con un conseguente ricambio generazionale o il consolidamento delle imprese agricole già esistenti. Può essere un’opportunità anche per molti giovani che, anche se non sono figli di agricoltori, intendono dedicarsi all’agricoltura o all’allevamento».
Uno strumento prezioso di presidio e salvaguardia dei territori destinato ad attirare l’attenzione verso aree che spesso sono trascurate e, nel contempo, potrà dare la possibilità ai giovani che hanno intenzione di dedicarsi all’agricoltura, di reperire terreni disponibili, anche se questi non provengono da famiglie di agricoltori o non hanno terreni in proprietà.
La prima cosa da sapere è che per terreno agricolo abbandonato o incolto si intende un terreno, suscettibile di coltivazione (tra questi rientrano anche le aree di neo-colonizzazione da parte del bosco sui quali è documentabile un’attività di sfalcio, pascolo o coltivazione negli ultimi dieci anni) che non sia stato destinati a uso produttivo da almeno tre annate agrarie.
Le Comunità, nell’ambito degli studi propedeutici alla formazione del proprio Piano territoriale (PTC), possono effettuare un censimento dei terreni abbandonati o incolti, nonché delle aree forestali da riportare all’uso agricolo presenti nel proprio territorio, anche mediante collaborazione con i Comuni territorialmente interessati, ai fini del possibile inserimento nella Banca della Terra.
Anche altri soggetti, quali i consorzi di miglioramento fondiario per conto dei propri associati, le organizzazioni professionali agricole, i liberi professionisti abilitati in materia agraria e forestale, possono chiedere alla Comunità territorialmente competente di inserire nella Banca della Terra altri terreni che abbiano i requisiti richiesti.
Chi intende coltivare i terreni inseriti nella Banca della Terra, presa visione degli elenchi pubblicati, potrà contattare direttamente il comune territorialmente competente al fine di avere i dati anagrafici del proprietario delle particelle fondiarie interessate, al fine di un rapporto diretto fra le parti.
«Creare un canale di avvicinamento per la proprietà e il soggetto che vuole coltivare la terra va benissimo – spiega il direttore della Confederazione italiana agricoltori Massimo Tomasi – è stato fatto anche da altre regioni in quanto c’è una certa ritrosia nel cedere in affitto i terreni: piuttosto vengono tenuti incolti per non incorrere in problemi, per paura di contratti capestro. Ma questa cosa va incentivata».
Il direttore della Cia spiega quali sono i problemi che maggiormente bloccano questa pratica: «Spesso è un anziano il proprietario, che non vorrebbe affittare la terra per tanti anni. All’opposto un imprenditore agricolo, per fare un investimento, ha bisogno proprio di più annate per poter ammortizzare i costi. Bisogna trovare un equilibrio e la legge 203 lo permette. Anche sui contratti – spiega – possono essere bilanciati tra le varie esigenze. Un equilibrio che può essere trovato».
Poi, d’accordo con l’assessore Michele Dallapiccola, Tomasi osserva che «Il contenimento del bosco attraverso l’utilizzo dei terreni agricoli è fondamentale. Se si guarda una foto di qualche anno fa e la si paragona alla situazione attuale si nota la differenza: il bosco ha mangiato centinaia e centinaia di ettari, di terrazzamenti, di superficie di alpeggio in malga. Se per qualche anno non coltivi o non sfalci, il bosco si prende il terreno. Poi è difficile tornare indietro, non solo per il lavoro da impiegare nel ripristino ma anche per la burocrazia che coinvolge il Comune, la Forestale e gli enti preposti».
Non si tratta però solo di un danno molto importante all’agricoltura, ma «Anche per il paesaggio – sostiene Tomasi -. Il settore agricolo è uno strumento per difendere il territorio dal punto di vista idrogeologico. In Valsugana i tanti terrazzamenti sono ormai inglobati nel bosco e non esistono più”. Perché non è conveniente coltivare in zone disagiate? “I soldi al quintale sono gli stessi – risponde – conviene coltivare a fondovalle, sulle fratte il costo è molto maggiore per le ore-lavoro, per i ripristini e per le infrastrutture».
«Nasce l’incolto anche per questo motivo – conclude Tomasi – e forse bisognerebbe capire come incentivare la coltivazione del terreno disagiato, altrimenti non cambia niente».