Sono passati 60 anni da quella terribile mattina dell’8 agosto 1956, quella del disastro di Marcinelle, nel distretto di Charleroi in Belgio, tragedia consumatasi nella miniera di carbone Bois du Cazier. Un incendio si era sviluppato a 975 metri sotto terra, inizialmente nel condotto d’entrata d’aria principale, e presto aveva riempito di fumo tutto l’impianto sotterraneo, provocando la morte di 262 persone delle 274 presenti, in gran parte emigranti italiani, ben 136. L’incidente, il primo dell’Italia repubblicana, è il terzo per numero di vittime tra gli italiani all’estero dopo i disastri di Monongah e di Dawson (il primo avvenuto, nel 1907, in Virginia, dove morirono molti emigranti molisani, il secondo, avvenuto nel 1913 nel Nuovo Messico, dove persero la vita 146 italiani sulle 263 vittime). Il sito Bois du Cazier, ormai dismesso, fa parte dei patrimoni storici dell’UNESCO. Era una miniera di carbone, quel materiale che inquina e che oggi si cerca di mettere da parte ma che all’epoca lasciava sperare in un nuovo sviluppo industriale dell’intera Europa che si risollevava dalla guerra, un luogo dove pare che le operazioni di soccorso fossero state particolarmente lente, con pompieri arrivati a mezzogiorno quando già il fumo usciva dalle ciminiere, il cielo era diventato nero e le donne erano attaccate alle grate del cancello ad aspettare e a piangere. Quando era troppo tardi. Tanti italiani erano partiti per fuggire dalla povertà, alla ricerca di un po’ di benessere, con un governo italiano che, nel 1946, aveva firmato un accordo con Bruxelles che prevedeva uno scambio: per 1000 minatori mandati in Belgio, sarebbero arrivate in Italia almeno 2500 tonnellate di carbone. Uno scambio uomini-merce che ha portato una grande tragedia, una di quelle che nella storia di un paese non vanno dimenticate. A futura memoria, quindi, per non far cadere nell’oblio un pezzo di storia triste e di passato doloroso. Perché quel pezzo di passato è più attuale che mai.