Quanto vale il PIL delle mafie? E quanto di questo proviene dalle ecomafie?
La domanda è più che lecita e i dati più che confortanti se si pensa da economisti. Assurdi se si pensa, invece, ai mercati illegali da cui provengono i dati stessi: traffico di droga, “servizi” di prostituzione, contrabbando di sigarette e tutte le attività connesse.
Dal 2014, infatti, nella tormentata navigazione dei conti pubblici sempre più pregiudicati alla luce delle esigenze europee, entra per volontà dell’Ue un inquietante paniere, quello delle attività illegali condotte dalle mafie. E la soluzione creativa della Commissione Europea è stata prontamente recepita dall’Italia e dall’Istat che ha immediatamente rivisto, anno dopo anno, il Def (Documento di Economia e Finanza) alla luce dei dati confortanti del PIL proveniente delle mafie.
Altri Paesi, come la Francia, si sono rifiutati di considerare questi parametri come punti di ricchezza del Paese.
Questo è stato il punto di partenza dell’incontro di approfondimento e di presentazione del quarto volume dell’Atlante delle mafie, al Festivaletteratura di Mantova, appena conclusosi, che ha visto protagonisti lo studioso e docente di criminalità organizzata Isaia Sales, tra i curatori del volume, e Enrico Fontana, coordinatore nazionale di Libera e persona a cui si deve il termine “ecomafia”.
E la terminologia è molto importante, soprattutto nell’analisi svolta dai relatori: Isaia Sales evidenzia, infatti, come “Nella definizione del Prodotto Interno Lordo del nostro Paese si parta ormai dalla considerazione che nella nostra società siamo liberi di comprare sigarette di contrabbando, frequentare prostitute e consumare droghe, cosa che rappresenta il massimo del fariseismo dell’economia contemporanea. E’ difficile asserire che chi sceglie di consumare droghe lo faccia liberamente, stiamo parlando di una dipendenza. O, nel caso della prostituzione, è impossibile non considerare la condizione di schiavitù in cui vivono le ragazze che vendono il proprio corpo. Questo l’Istat lo considera un servizio e il denaro che viene mosso da questo mercato è considerato ricchezza del Paese. Siamo dunque di fronte a una contraddizione fortissima”.
Ma di che cifre stiamo parlando?
La Banca d’Italia ha stimato che l’economia mafiosa criminale in Italia ammonta a 170miliardi di euro, una parte consistente del Pil italiano. Il 40 per cento viene reinvestito all’interno dello stesso mercato: armi, droga, mantenimento delle famiglie in carcere. A livello mondiale la stima del riciclaggio è di 2.850 miliardi di dollari e nel 2008 le liquidità apportate dai narcodollari hanno consentito di sostenere l’economia mondiale bancaria. “Il contributo dei narcodollari è stato infatti fondamentale per il salvataggio del sistema bancario, dopo la crisi innestata dal crack Lehman Brothers – continua Sales – Se le mafie hanno consenso è perché consentono la circolazione della ricchezza”. Basti pensare che il Messico il 20% del PIL proviene dal traffico di droga e in Europa, Paesi come la Germania e l’Inghilterra hanno superato l’Italia sempre nel mercato della droga.
Quanto incide, invece, il PIL delle ecomafie?
I numeri delle ecomafie, secondo il Rapporto 2016 di Legambiente, sono leggermente in calo grazie all’introduzione dell’ecoreato nel codice penale, ma resta un pezzo forte del PIL delle mafie ed ammonta a 19,1 miliardi. I proventi sono così ripartiti: 27,9% l’archeomafia; 25,4 gestione dei rifiuti speciali; 23% animali e fauna selvatica; 16,4% abusivismo edilizio; 4,3% agroalimentare; 1,6% inquinamento ambientale e 0,8% corruzione ambientale.
Enrico Fontana ha ricordato che la prima denuncia di un reato di ecomafia risale al 1978, ad opera di un certo Peppino Impastato che ha pagato con la vita l’opposizione, da attivista politico e sociale, all’ingerenza della mafia nella vita economica della Sicilia. Peppino Impastato denunciava come criminali e illegali le attività di scavo da parte di ditte in odore di mafia nelle montagne siciliane per la costruzione del tratto autostradale tra Palermo e Mazzara del Vallo. Nel ’78 il giornalista di Cinisi diceva “Le mafie non sbagliano mai i conti”. Non pensavano certamente di ricevere addirittura, anni dopo, anche un bollino dall’Istat.