Entrambi i candidati alla Presidenza degli Stati Uniti si sono spesso astenuti dall’introdurre la tematica ambientale ed energetica nei loro discorsi all’elettorato e  il tema del “cambiamento climatico” è stato solo sfiorato in poche eccezioni e solo per denigrare l’altro. Premesso questo, ha vinto, tra i due, il più incauto nelle dichiarazioni e il meno diplomatico anche in tema di politiche ambientali. Le sue dichiarazioni sono state documentate per mesi da gruppi di ambientalisti americani che staranno vivendo ore di panico.

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Ha vinto dunque, Donald Trump. Colui che ha definito il “cambiamento climatico” prodotto dall’uomo “un’invenzione dei cinesi per rendere meno competitiva l’industria manifatturiera statunitense”, salvo poi sfruttare le conseguenze del cambiamento climatico come motivo per chiedere l’autorizzazione a costruire una barriera costiera che difenda i suoi campi da golf in Irlanda.
Non sconvolge, quindi, sapere che una delle cose che si impegnerà a fare da Presidente degli Stati Uniti sarà ritirare gli impegni assunti dal suo predecessore e uscire dalla Conferenza di Parigi. Durante un comizio, a maggio, Trump dichiarava: “Obama ha fatto entrare gli USA negli accordi sul clima, unilateralmente e senza il permesso del Congresso. Questo accordo dà a burocrati stranieri il controllo su ciò che stiamo facendo sulla nostra terra nel nostro paese. Cancelleremo l’accordo di Parigi e fermeremo tutti i pagamenti statunitensi ai programmi delle Nazioni Unite sul riscaldamento globale“. Tra le promesse, quella di ritirare, in realtà, gran parte delle politiche dell’amministrazione Obama.
Ma possiamo stare tranquilli perché ha promesso di lavorare solo con “ambientalisti che abbiano in agenda solo la protezione della natura” e di “concentrarsi sui problemi ambientali veri, non quelli fasulli“, riferendosi appunto ai cambiamenti climatici prodotti dall’uomo. La posizione ufficiale di Trump sul cambiamento climatico è che questo esista, ma che stia accadendo per cause naturali e non perché sono gli uomini a provocarlo: questo è ciò che ha spiegato Kellyanne Conway, manager della sua campagna, durante un’intervista rilasciata alla CNN a settembre di quest’anno.

Per quanto riguarda le politiche energetiche resta in sintonia con tutto il resto, ed è subito stato chiaro fin dal discorso pronunciato davanti a una conferenza di industriali in North Dakota, pochi minuti dopo aver celebrato la conquista dei 1.237 delegati necessari per ottenere la nomination repubblicana. In quest’occasione Trump ha esposto il piano energetico che intende applicare da presidente degli Stati Uniti, un piano in gran parte modellato dal consigliere Kevin Cramer, un deputato statunitense proprio del North Dakota. Dopo aver ringraziato per i consigli l’imprenditore petrolifero Harold Hamm, che lo aveva introdotto sul palco insieme a Cramer, ha affrontato il tema delle fonti di energia rinnovabili, affermando che l’energia solare è troppo costosa e che le turbine eoliche “uccidono le aquile.
Una politica energetica che va dunque dritta verso il petrolio e le tradizionali fonti non rinnovabili, tant’è che intende porre fine alla moratoria sui permessi di estrazione del carbone e incoraggiare l’utilizzo del gas naturale e di altre risorse energetiche americane. La sua intenzione è quella di permettere nuove trivellazioni al largo delle coste atlantiche, insieme alla costruzione del controverso oleodotto Keystone XL in cambio di una “grossa fetta dei prodotti” per gli americani, che trasporterebbe negli Stati Uniti il petrolio estratto dalle sabbie bituminose dell’Alberta, in Canada. La costruzione dell’oleodotto, fortemente sostenuta dai repubblicani, è stata bocciata proprio un anno fa dall’amministrazione Obama, dopo anni di discussioni.

Tutto ciò, è sostenuto, chiaramente, da motivazioni economiche. Secondo i dati diffusi dal suo staff, le politiche anti-ambientali di Trump garantiranno un ritorno economico pari a 700 miliardi di dollari l’anno per i prossimi 30 anni, facendo aumentare gli stipendi di 30 miliardi di dollari e creando, ci potete scommettere, milioni di nuovi posti di lavoro. Una storia già sentita. D’altra parte, secondo uno studio Lux Research, in base ai diversi programmi nel corso di due mandati un’amministrazione Trump causerebbe l’emissione di 3,4 miliardi di tonnellate di CO2 nell’atmosfera in più rispetto a due mandati della Clinton. Ammesso che la Clinton, una volta eletta, abbia poi dato seguito alle sue promesse, facendole prevalere sui dollari di finanziamento ricevuti dalle lobbies dell’industria dei combustibili fossili che, stranamente, l’hanno sostenuta.

Infine, ciliegina sulla torta, Trump ha annunciato l’intenzione di chiudere l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente (EPA) definendo le loro attività una “disgrazia”.

Una disgrazia.

Proprio quello che avranno pensato gli ambientalisti di tutto il mondo, non solo quelli americani, alla scoperta del nome del nuovo presidente degli Stati Uniti d’America.