Il Bhutan, grazie alla capacità di assorbimento delle proprie foreste e alle politiche green del proprio Governo, è il Paese con meno emissioni di CO2 al mondo e che assorbe il triplo delle emissioni nocive prodotte dalla propria popolazione. Lo ha stabilito il “carbon comparator”, strumento sviluppato dall’Energy and Climate Intelligence Unit (Eciu).
Seguito dal Paraguay, che genera il 100% dell’energia grazie a centrali idroelettriche. Tra i peggiori della classe, invece, il Lussemburgo che, con un numero inferiore di residenti, produce il quadruplo delle sue emissioni di CO2.
Cosa abbia fatto il Bhutan, un piccolo Paese asiatico abbarbicato sull’Himalaya, per raggiungere tale risultato è tanto facile quanto rivoluzionario se si pensa a cosa è abituato tutto il resto del mondo: gli abitanti vivono quasi in simbiosi con l’ambiente, le foreste coprono i tre quarti della superficie, è vietato tagliare gli alberi e uccidere qualsiasi animale (per i buthanesi è peccato farlo come racconta Saverio Merlo in questo reportage di viaggio), l’agricoltura è sostenibile e a dimensione familiare e le coltivazioni e la produzione di elettricità sono alimentate dallo scioglimento estivo della neve e dei ghiacciai.
Tra le misure adottate, il contrasto della cultura dell’automobile aumentando le tasse sui veicoli a motore alimentati dai combustibili fossili a favore di trasporto pubblico, mezzi elettrici e a energia solare. Inoltre, la protezione ambientale è un principio sancito dalla Costituzione.
Lo scorso anno, come è stato raccontato a Parigi durante #Cop21, il Paese si è distinto ecologicamente avviando il progetto foreste: in un’ora gli abitanti hanno piantato la cifra record di 50mila alberi alle porte della capitale Thimphu, più di una pianta per ogni residente.
Ma l’idea di essere “green” non riguarda solamente l’ambiente, è una filosofia di vita: accanto a matematica e scienze, ai bambini vengono insegnate le tecniche base della protezione agricola e ambientale e un nuovo programma nazionale per la gestione dei rifiuti garantisce inoltre che ogni parte di materiale usato a scuola venga riciclato. Negli ultimi 20 anni il Bhutan ha raddoppiato la sua aspettativa di vita, iscritto quasi il 100% dei suoi bambini alle scuole elementari e ammodernato le sue infrastrutture.
Il Bhutan è uno Stato monarchico che, negli anni Settanta, ha deciso di basare il proprio sistema politico ed economico non sul PIL (Prodotto Interno Lordo), ma sul FIL (Felicità Interna Lorda) e di orientare il benessere collettivo della popolazione verso la conservazione ambientale e la sostenibilità.
Da circa 40 anni, infatti, ha virato verso un approccio di sviluppo “ambientale”, in opposizione a quello “materiale”, in base a cui la prosperità collettiva si ottiene non attraverso la ricchezza finanziaria, ma attraverso lo sviluppo spirituale, fisico, sociale e la salute ambientale dei cittadini e dell’ambiente naturale. Secondo gli scienziati, se tutto il pianeta seguisse il modello-Bhutan nel consumo energetico, la temperatura media della terra entro 20 anni tornerebbe pari a quella dei primi del Novecento, innescando risparmi miliardari. L’influsso del FIL si ripercuote anche sull’educazione e la scuola, traducendosi in sessioni quotidiane di meditazione e di musiche tradizionali rilassanti al posto del fragore della campanella, inserendosi in un modello in cui non è solo importante prendere buoni voti, ma anche imparare ad essere persone migliori.
Il contesto religioso di certo aiuta, essendo il Bhutan un Paese prevalentemente buddhista, ma il fatto che un Paese in via di sviluppo stia fornendo al mondo un sistema alternativo di politica ed economia sostenibile è sicuramente anche frutto di strategie ed idee intelligenti e lungimiranti, tese a limitare i danni dei cambiamenti climatici che il paese sta subendo, anche a causa della sua peculiare posizione geografica.