Gli aggettivi abbondano quando si parla della Namibia. Una nazione giovane – è indipendente dal 1990 – e una terra tra le più antiche del Pianeta offrono scenari tanto contrastanti quanto spettacolari, spesso unici.
Spazi immensi attraversati da strade polverose si prestano a un viaggio on the road con trasferimenti in auto da un deserto all’altro, da una riserva naturale all’altra, nel mezzo di paesaggi singolari.
Le strade, per lo più sterrate, regalano la sensazione di un viaggio avventuroso attraverso un territorio coperto in buona parte da savane punteggiate di alberi e arbusti spinosi e da aride pianure arse dal sole per quasi tutto l’anno. La natura, tuttavia, ha imparato a fare i conti con la scarsità d’acqua e le piante spingono le radici a profondità impensabili per succhiare gocce di liquido vitale. I fiumi riportati sulla carta geografica sono per lo più “effimeri”, hanno cioè letti asciutti, dove l’acqua scorre solo alcuni giorni l’anno o, in alcuni casi, non esistono più.
Namibia e paesaggi infiniti
Si può viaggiare per ore senza incontrare tracce di vita, a parte qualche esemplare dell’onnipresente orice, l’antilope simbolo del Paese. In alcune zone dell’altipiano centrale sembra di viaggiare da un nulla all’altro in piatte distese aride e pietrose. Salvo qualche centro abitato nelle zone più popolose, sono rari gli insediamenti umani, che a stento possono chiamarsi paesi.
Eppure anche in posti sperduti nei territori desertici non manca l’opportunità di soste confortevoli, come il bar del Maltahöhe Hotel, col suo ottimo caffè espresso, o il McGregor’s Bakery a Solitaire, celebre per la sua gustosa torta di mele: da non mancare!
La Namibia è il paradiso dei geologi. Grande tre volte l’Italia con una popolazione di soli 3 milioni di abitanti – quindi tra le zone meno densamente popolate del mondo – questa terra svela la pelle del Pianeta, la sua carne, le sue ossa. Non a caso una grossa risorsa economica per la Namibia è rappresentata dell’estrazione di minerali rari, come l’uranio, e diamanti. Sorprende il continuo mutare del paesaggio, che chilometro dopo chilometro assume aspetto e colorazione diversi.
La Namibia e i suoi deserti
Il nostro viaggio è iniziato dalla capitale Windhoek. Da qui ci siamo inoltrati verso sud per fare tappa in pieno deserto del Kalahari, nell’altopiano centrale, dove abbiamo incontrato per la prima volta giraffe, springboks, struzzi, zebre e gnu. Nella savana ci colpiscono gli enormi nidi “condominiali” costruiti sugli alberi di acacia dai passeri repubblicani; osservando dal basso questi grovigli di erba secca, si intravedono i fori da cui gli uccellini accedono al nido.
Per varietà di scenari è impressionante il deserto del Namib, uno dei più antichi della Terra, che copre la parte occidentale del Paese da nord a sud lungo la fascia costiera atlantica.
All’interno del Namib-Naukluft National Park, le dune di terra rossa di Sossusvlei rappresentano l’immagine-simbolo della Namibia. Di fronte a queste dune magnifiche, alte anche oltre 300 metri, non abbiamo resistito alla tentazione di arrampicarci sulla cresta di una di esse per poi lasciarci andare in discesa affondando i piedi nella sabbia fino alla sottostante Deadvlei , uno spettacolare bacino dal fondo di argilla bianca screpolata, costellato di alberi scheletrici che sembrano pietrificati. Il contrasto cromatico tra il bianco del terreno argilloso, le tonalità rossastre delle dune e l’azzurro intenso del cielo crea un effetto davvero unico!
Da Sossusvlei abbiamo puntato verso nord, attraversando un altipiano sassoso che sfocia in ambienti geologicamente assai diversi. In una zona in rilievo, non lontano dal passaggio sul Tropico del Capricorno (foto di rito!), il terreno si contorce in colline rotonde da cui affiorano strisce di rocce e vene di quarzo brillante.
Namibia è anche oceano
Scendendo verso l’Oceano si raggiunge Swakopmund, città sorprendente in stile tipicamente tedesco, retaggio della colonizzazione di fine Ottocento, tanto da essere definita da Wilbur Smith nel suo libro La spiaggia infuocata “uno sbalorditivo pezzo di Baviera trasportata nel deserto sudafricano”.
È curioso camminare nelle ampie strade di questa città africana e scoprire piccoli gioielli architettonici sui quali sono ancora evidenti le scritte in tedesco di esercizi commerciali e uffici pubblici dell’epoca. Anche i nomi delle vie recano il ricordo di quell’epoca lontana. A Swakopmund le temperature scendono decisamente e la mattina ci si sveglia in una coltre di nebbia che fatica a diradarsi. D’estate, tuttavia, la città diventa luogo di villeggiatura per molte famiglie namibiane che fuggono dalle altissime temperature dell’interno, trovando qui aria più fresca e attività ricreative.
Da Swakopmund una perfetta strada asfaltata porta verso sud nella zona portuale di Walvis Bay. Da qui si va alla scoperta delle straordinarie dune di sabbia dorata di Sandwich Harbour. Gigantesche, armoniosamente disegnate dai venti, le dune di Sandwich Harbour si spingono fino a toccare le fredde acque dell’Oceano, formando un ambiente unico nel suo genere. Con vetture 4×4 guidate da esperti driver abbiamo risalito e ridisceso più volte i pendii delle dune, facendo il pieno di emozioni, fino a raggiungere un punto panoramico da cui si ammira il bianco delle onde oceaniche che si infrangono ai piedi delle dune. Nella baia sottostante orici e struzzi si aggirano tra le ondulazioni del terreno e centinaia di fenicotteri punteggiano di rosa alcuni specchi d’acqua interni. Immergendo la mano nella sabbia, uno dei driver estrae un minuscolo geco delle sabbie, un simpatico esserino lungo circa 10 centimetri, ricoperto da una pelle quasi trasparente.
Ripreso il viaggio verso nord, percorriamo un tratto della Skeleton Coast, così chiamata per i numerosi relitti delle navi naufragate a causa delle forti tempeste marine, fino a Cape Cross, popolato da una grande colonia di migliaia di otarie, assiepate in un tratto di costa fredda e nebbiosa. Le acque dell’Oceano sono attraversate dalla fredda corrente del Benguela, diramazione della Corrente antartica, che mantiene basse le temperature e assicura un mare ricco di nutrienti e perciò particolarmente pescoso.
Damaraland, il luogo degli alberi pietrificati e delle pitture rupestri
Più a nord, sulla via per Etosha, ci inoltriamo nel Damaraland, regione rocciosa e montagnosa, delimitata dal massiccio del Brandberg, che al tramonto si accende di un rosso vivace. Qui incontriamo una popolazione indigena, il celebre popolo Himba, che vive ancora in villaggi di capanne di stile tipicamente africano e conserva costumi e tradizioni antiche.
Il soggiorno in tenda in un angolo del Damaraland ci ha regalato sensazioni indimenticabili con un’esperienza di piena immersione nella natura: resta nella memoria il silenzio profondo della notte africana, rotto solo da sporadici versi di animali a noi ignoti, quando già le prime luci dell’alba filtravano tra le rocce granitiche.
Nella zona sono state scoperte pitture rupestri del Paleolitico e una foresta pietrificata, tronchi fossili risalenti a più di 250 milioni di anni fa, tra i quali fiorisce la mitica Welwitschia, una pianta estremamente longeva che si sviluppa a terra e può vivere anche più di mille anni.
L’esperienza del safari è stata appassionante. Elefanti, giraffe, leoni, rinoceronti, orici, zebre, iene, impala, cudù, springboks, gnu, sciacalli, suricati. Quante ore abbiamo trascorso sulle jeep, in silenzio, attendendo pazientemente di scorgere uno di questi protagonisti del regno animale. Ma l’attesa vale il gioco.
Due momenti toccanti restano impressi nella mia memoria.
Una mattina, nella grigia pianura di un’estesa riserva privata nei pressi di Etosha, alcune giraffe stanno immobili, all’erta, lo sguardo fisso nella stessa direzione: è il segnale di un pericolo vicino. Seguendo lo sguardo delle giraffe, scopriamo sotto un albero una leonessa che riposa all’ombra con i suoi cuccioli. Ci avviciniamo con la jeep e riusciamo a fotografarli, mentre a distanza le giraffe restano ancora immobili, per ore, nella posizione di guardia.
Il giorno stesso, al tramonto, ci appostiamo nei pressi di una pozza d’acqua. Appena il sole scompare all’orizzonte, vediamo comparire i leoncini che procedono lentamente, a distanza di pochi metri l’uno dall’altro, verso lo specchio d’acqua, seguiti dalla leonessa. Questa osserva attenta da dietro, poi si accosta anche lei alla pozza per bere. Istanti indimenticabili.
La Namibia e il Parco Nazionale di Etosha
Tappa irrinunciabile del viaggio è il Parco Nazionale di Etosha, un’enorme riserva naturale, popolata da più di cento specie di animali selvatici. A vasti tratti di pianura polverosa si alternano zone di savana alberata, percorsa in lungo e in largo da innumerevoli gruppi di animali diversi, soprattutto elefanti, giraffe, zebre e antilopi. Al centro del parco lo sguardo si perde ai bordi del Pan, un’enorme distesa argillosa, un tempo un bacino di acqua salata.
Emozioni speciali ci ha donato il safari nella zona di Mount Echo, a metà strada tra Etosha e la capitale. Il paesaggio qui appare più verde, la terra si colora di un rosso fiammante e sullo sfondo si stagliano i profili dei monti. In ottobre, poi, dalla strada si possono ammirare splendidi alberi di jacaranda in piena fioritura color viola acceso. Il safari nella savana è stato particolarmente entusiasmante. Con le jeep abbiamo sostato a pochi metri da un gruppo di leoni che avevano appena catturato una giraffa, mentre più in là, tra gli elefanti intenti a nutrirsi di foglie, un piccolo di appena quattro giorni si riparava sotto la pancia della mamma.
La Namibia oggi
In tutto questo susseguirsi di attrazioni ed emozioni, il viaggiatore si chiede quale sia la reale situazione sociale del Paese. Le baraccopoli che sorgono al limite di alcuni centri abitati ci inducono a pensare che vi siano ancora forti differenze sociali ed economiche. La maggioranza della popolazione è costituita da indigeni appartenenti a varie tribù, ma gran parte delle terre e della ricchezza sono ancora nelle mani della minoranza bianca, composta dai discendenti di tre ceppi europei: i tedeschi che la colonizzarono tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, gli inglesi del Sud Africa e i boeri di origine olandese. Di fatto, la Namibia ha subìto una doppia colonizzazione, quella tedesca tra Otto e Novecento, e quella dell’apartheid, avendo fatto parte della Repubblica Sudafricana dal 1915 fino al 1990, anno dell’indipendenza. Nonostante queste ferite recenti, l’atmosfera che si respira è quella di un Paese apparentemente pacificato, i namibiani sono molto cordiali e per il turista non sembrano esserci problemi di sicurezza.
Un fattore evidente è la scarsità d’acqua, problema che si aggrava di anno in anno per la rarefazione delle precipitazioni. Si prevede che il cambiamento climatico, l’aumento delle temperature e della irregolarità delle precipitazioni provocherà la diminuzione della produzione di colture di base, i pascoli si deterioreranno, influenzando così la produzione di bestiame, i mezzi di sussistenza e i redditi rurali. È probabile che l’innalzamento del livello del mare e il riscaldamento incideranno sulla produzione ittica, sui mezzi di sussistenza costieri, sugli ecosistemi naturali e sull’attività turistica. Secondo gli esperti, anche la sopravvivenza della pianta fossile della Welwitschia è messa in pericolo. Per questi motivi, la Namibia sta dando priorità agli sforzi di adattamento riguardanti la sicurezza alimentare, le risorse idriche, la salute, le infrastrutture, la biodiversità, l’energia, il turismo, le zone costiere, lo sviluppo urbano e la gestione delle risorse.