Il complesso e variegato campo della sostenibilità si sta muovendo in fretta, e questa è una cosa positiva ma dai risvolti incerti. Ora più che mai c’è bisogno di regole e metodologie condivise, serietà, trasparenza e chiarezza.
di Andrea Merusi
Il settore industriale è responsabile del 21% delle emissioni globali di CO2 ed è il terzo per emissioni secondo solo a quello della produzione di energia (25%) e al settore agricolo (24%). È quindi evidente che le attività produttive e industriali giocano un ruolo fondamentale nella lotta al cambiamento climatico.
La buona notizia è che negli ultimi anni sempre più aziende italiane hanno aderito alla missione lanciata dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e hanno fatto propri alcuni degli obiettivi previsti, tra cui la lotta al riscaldamento globale. Generalizzando si può affermare che l’attuale quadro italiano è composto da: aziende virtuose che realmente stanno lavorando secondo i principi dello sviluppo sostenibile, aziende ancora molto indietro in campo ambientale e sociale, aziende che millantano grandi risultati ma che in realtà di sostenibile hanno ben poco. Come riconoscere queste tipologie di attività? E come possono essere aiutate ad essere davvero sempre più sostenibili?
Gli strumenti ci sono, già da diversi anni, ma spesso non sono conosciuti o sono considerati erroneamente non accessibili o non appropriati a molte realtà produttive. Questo articolo e quelli che seguiranno hanno lo scopo di fare un po’ di chiarezza tra le tante certificazioni ambientali esistenti e i numerosi standard di sostenibilità già in uso. Allo stesso tempo si vuole dare alle aziende e ai consumatori un’accessibile fonte d’informazione che possa aiutare ad indirizzare le proprie scelte quotidiane.
Iniziamo quindi col parlare di certificazioni e della ISO: l’Organizzazione internazionale per la normazione più importante a livello mondiale. Ente che svolge funzioni consultive per le Nazioni Unite su tematiche come l’educazione, la scienza e la cultura. Nel 2018 ISO ha pubblicato un importante dossier gratuito dal titolo: “Contributing to the UN Sustainable Development Goals with ISO standards”. Nel documento ad ogni obiettivo previsto dall’Agenda 2030 viene associato una o più norme di riferimento ISO già in uso da anni. Dal report si legge, ad esempio, che alcuni utili strumenti per il conseguimento dell’obiettivo 13 “Lotta al cambiamento climatico” sono contenuti nelle norme ISO 50001 “Sistemi di Gestione dell’energia”, ISO 14001 “Sistemi di Gestione Ambientali”, ISO 14067 che presenta una metodologia di calcolo dell’impronta di carbonio, ISO 14064-1 e ISO 14064-2 che forniscono specifiche indicazioni su come quantificare, monitorare, validare e verificare le emissioni di gas serra.
Un documento analogo è stato pubblicato anche dall’organizzazione internazionale senza scopo di lucro “Global Reporting Initiative”, ente nato con il fine di definire gli standard di rendicontazione della performance sostenibile di organizzazioni di qualunque dimensione, appartenenti a qualsiasi settore e paese del mondo. I loro report hanno dato un significativo contributo nello stabilire delle regole condivise per la redazione dei bilanci di sostenibilità e nelle rendicontazioni non finanziarie.
Le norme ISO e i report GRI sono solo alcuni degli standard riconosciuti a livello mondiale che possono essere utilizzati dalle aziende per implementare seri progetti di sostenibilità e di riduzione delle emissioni di gas climalteranti. Il loro utilizzo permette di evitare una carente oggettività dei risultati ottenuti e il dannoso fenomeno del greenwashing. Per intenderci: se un’azienda dichiara sui propri prodotti o sui propri canali informativi, di aver ridotto del 50% le proprie emissioni di CO2, senza però specificare in che arco di tempo, in rapporto a quale altro parametro (es. ore lavorate, materie prime consumate, ecc..) e senza specificare quale metodologia di analisi è stata utilizzata, sta dando un’informazione parziale, imprecisa e potenzialmente fuorviante. Se invece l’azienda, nel pubblicare il risultato rimanda ad un bilancio di sostenibilità redatto secondo gli standard GRI, al possesso di una certificazione ambientale ISO, o a una dettagliata spiegazione sugli interventi effettuati per il raggiungimento del risultato, sta dando un’informazione completa e, soprattutto, starà dando un’immagine più autorevole e seria.
La verifica di queste informazioni è l’esercizio che un attendo consumatore dovrebbe fare, mentre lavorare seguendo delle norme universalmente riconosciute è l’impegno che le aziende dovrebbero mettere quando decidono di intraprendere un serio programma di sostenibilità.
Qualcuno obbietterà che c’è un problema economico non di poco conto: le norme ISO sono a pagamento e certificarsi ha un costo significativo. È vero, l’ostacolo economico c’è, è sarebbe davvero utile se i governi e le istituzioni sostenessero le aziende che si vogliono certificare con incentivi, sgravi economici e aiuti di vario tipo. Ma allo stesso tempo l’azienda deve vedere queste spese come un investimento e non un costo. Ogni anno sempre più studi dimostrano che le organizzazioni che hanno puntato seriamente sulla sostenibilità e sulla responsabilità sociale d’impresa hanno retto meglio nei momenti di crisi e hanno avuto un ritorno economico maggiore dei costi sostenuti[1].
Il complesso e variegato campo della sostenibilità si sta muovendo in fretta, e questa è una cosa positiva ma dai risvolti incerti. L’importanza della transizione ecologica è ormai sotto gli occhi di tutti e finalmente anche il mondo politico e industriale ha incominciato a guardarla con interesse. Ma ora più che mai c’è bisogno di regole e metodologie condivise, serietà, trasparenza e chiarezza. Non bisogna fermarsi agli slogan ma è indispensabile cogliere davvero l’opportunità di operare secondo i principi dello sviluppo sostenibile e quindi garantire alle generazioni future le stesse possibilità di soddisfare bisogni fondamentali. Questo e i prossimi articoli cercheranno di dare un piccolo contributo a questo importante processo.
Biologo. Responsabile ambiente e sostenibilità
[1] L’edizione 2020 del Rapporto dell’Osservatorio Socialis conferma la costante progressione del trend di crescita della diffusione della Corporate Social Responsibility nelle imprese di medie e grandi dimensioni (aziende con almeno 80 dipendenti). La cultura e pratica aziendale della Responsabilità Sociale vede un coinvolgimento attivo delle imprese italiane cresciuto quasi del 50% in 18 anni.