Non è la prima volta che organizzazioni internazionali e associazioni di tutela degli animali cercano di mettere in guardia rispetto al rischio connesso all’utilizzo di antibiotici sugli animali e non sono i primi dati ufficiali che si diffondono circa le percentuali e le differenze tra i Paesi, ma evidentemente c’è bisogno di ribadirlo a chiare lettere e a gran voce attraverso richieste ufficiali di politica attiva da parte dei Governi.

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E’ il caso del protocollo volto a promuovere iniziative a difesa del benessere animale negli allevamenti e contro la zootecnia intensiva, firmato tra Legambiente, nella persona della presidente Rossella Muroni, e CIWF International, tramite il suo ceo Philip Lymbery, alla presenza di Annamaria Pisapia, direttrice di CIWF Italia. Legambiente non ha bisogno di presentazioni, mentre l’organizzazione non governativa CIWF, che sta per “Compassion In World Farming”, è la maggiore organizzazione internazionale per il benessere degli animali da allevamento.

Le due ONG chiedono che le richieste delle associazioni che hanno partecipato alla conferenza nazionale sul benessere animale organizzata dal ministero della Salute a Roma all’inizio dell’estate siano recepite e inserite nel Piano triennale per il Benessere Animale, che il ministro Lorenzin si è impegnato ad approvare entro il mese di dicembre.

I dati. Le cifre fornite da ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control), EFSA (European Food Safety Authority) and EMA (European Medicines Agency) e SIMIT Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali) e diffuse da Legambiente e CIFW sono davvero allarmanti: il 71% degli antibiotici venduti ogni anno in Italia vengono somministrati agli animali da macello, 800 milioni di capi di bestiame per soddisfare il fabbisogno di 60 milioni di consumatori. Una percentuale che pone l’Italia al terzo posto in Europa per consumo di antibiotici destinati agli animali da allevamento, dopo Spagna e Cipro, e che supera di tre volte il consumo della Francia e di cinque quello del Regno Unito. Tutto questo avviene mentre ogni anno in Italia muoiono fra le 5.000 e le 7.000 persone per resistenza agli antibiotici. I dati mostrano, in maniera inquietante, la correlazione tra gli allevamenti intensivi e l’aumento della resistenza agli antibiotici dell’organismo umano. Come abbiamo detto, non è la prima volta che si accoppi la parola “zootecnia” con la parola “antibiotico”, ma sicuramente adesso diventa urgente un intervento forte ed efficace. Le pessime condizioni in cui versano gli animali negli allevamenti, dove vivono al limite delle proprie possibilità fisiologiche e con un sistema immunitario indebolito, fanno sì che gli antibiotici vengano somministrati agli animali malati e a quelli sani indistintamente, per evitare che si ammalino. Proprio a causa di queste proteine animali presenti nella nostra tavola, sempre più classi di antibiotici non hanno più alcun effetto sull’organismo umano provocando un numero crescente di morti per resistenza agli antibiotici.

Le proposte. Quello che le due organizzazioni chiedono attraverso la firma del protocollo è che si capisca il nesso che esiste tra il benessere dell’animale e la qualità del cibo che mettiamo sulle nostre tavole, e che si mettano in pratica interventi concreti, sia per la valorizzazione di buone pratiche di allevamento estensivo (all’aperto e/o biologico) che vadano a sostituirsi a quelli intensivi, sia per percorsi educativi nelle scuole. Quest’ultima parte dal presupposto e dalla consapevolezza che sana alimentazione, benessere animale e sostenibilità ambientale siano tre concetti legati tra loro. In questa prospettiva, è necessaria un’adeguata formazione e sensibilizzazione sia nelle aule di scuola che, non ultime, nelle aule parlamentari in modo da acquisire le giuste competenze e adottare provvedimenti legislativi efficaci ed efficienti.