Il 2015 ha stabilito un triste record: è l’anno con il maggior numero di uccisioni di attivisti nel mondo. A sostenerlo è un rapporto della Global Witness, un’organizzazione per i diritti dei popoli indigeni.Berta Caceres_bioecogeo Lo scorso anno sono stati registrati 185 omicidi in 16 paesi, di gran lunga il più alto numero di morti in un anno, più del doppio del numero di giornalisti uccisi nello stesso periodo. Tra le vittime spesso troviamo i familiari degli attivisti come nel caso di Michelle Campos, attivista di Mindanao nelle Filippine. La sua famiglia venne sterminata di notte nel settembre scorso. Ricca di carbone, nichel e oro, la regione di Mindanao è uno dei territori più pericolosi al mondo per gli attivisti. In questo angolo di pianeta si sono registrate ben  25 morti nel solo 2015.

«Riceviamo minacce continuamente sulla nostra terra sia dalle compagnie minerarie  che dai paramilitari che le proteggono» dichiara Michelle Campos.
«Mio padre, mio nonno e un insegnante di una scuola sono state solo tre delle innumerevoli vittime. Sappiamo che gli assassini sono ancora a piede libero nella nostra comunità. Stiamo morendo e il nostro governo non fa nulla per aiutarci».

[dropcap]I[/dropcap] paesi più colpiti nel 2015 sono stati il Brasile (50 omicidi), Filippine (33) e Colombia (26). I conflitti per l’estrazione sono stati la prima causa di morte, a seguire i delitti agro-alimentari, infine quelli per la costruzione di dighe idroelettriche. Quasi il 40% delle vittime erano indigeni.
Tra i 50 omicidi commessi in Brasile troviamo quello di Isídio Antonio. L’attivista, che operava nello stato del Maranhão (situato nella parte nord-orientale del paese, ndr.),  ha subìto per anni tentativi di assassini e minacce di morte per aver difeso la sua terra contro un piccolo gruppo di potenti proprietari terrieri che hanno tentato di depredarla per il legname prezioso o per far posto ad allevamenti e piantagioni.
I suoi appelli alle autorità per la protezione sono stati costantemente ignorati e la polizia non ha mai indagato per il suo omicidio.

Per mettere un freno all’escalation di vittime, la Global Witness ha chiesto con forza ai governi dei paesi presi in analisi di intervenire con urgenza per aumentare la protezione per la terra e gli attivisti ambientali a rischio di violenza, intimidazione o minaccia. Inoltre, l’ente ha chiesto ai paesi in oggetto di indagare sui crimini e sulle aziende e politici che li commissionano.
L’ultimo omicidio documentato ai danni di un’ambientalista risale al 16 marzo 2016.  La vittima è Nelson Garcia, 38 anni, amico e collega di Berta Caceres, attivista morta il 3 marzo dopo essere stata aggredita in casa. Garcia, che lavorava con Caceres al Copinh (Consejo Cívico de Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras), è rimasto vittima di quattro colpi di arma da fuoco in pieno volto mentre tornava a casa, a Rio Lindo, dopo aver assistito una famiglia di indigeni la cui casa era stata espropriata, a 120 chilometri a nord della capitale Tegucigalpa.