“Dopo tanti anni a disinformare sulla scienza del clima, ora l’Istituto Bruno Leoni vorrebbe convincerci che tutto si aggiusterà solo con l’innovazione tecnologica guidata dal libero mercato del quale fidarsi ciecamente, l’unico in grado di risolvere la crisi climatica. Una tesi priva di fondamento”.
Ancora una volta Stefano Caserini, Professore di Mitigazione dei Cambiamenti Climatici presso il Politecnico di Milano, torna a scrivere di coloro che, nonostante le evidenze scientifiche, neghino imperterriti la serietà e l’urgenza di un cambio di rotta drastico per evitare conseguenze disastrose.
A dare occasione al professore universitario di scrivere un articolo sul blog Climalteranti è l’articolo di Alberto Mingardi comparso su La Stampa del 24 gennaio 2020 dal titolo “La ricetta verde di Trump” . Questo articolo è “un esempio di quale siano oggi gli argomenti di chi vuole impedire le azioni contro il cambiamento climatico, dopo aver passato tanto tempo a negare l’esistenza stessa del problema, o le responsabilità umane”.
Alberto Mingardi è Direttore Generale dell’Istituto Bruno Leoni, think-thank liberista che per tanti anni ha diffuso disinformazione sul tema del cambiamento climatico, e già autore in passato di interventi deliranti in materia (ad esempio “È il clima il nuovo oppio dei popoli- Una nuova superstizione pare pronta a capitalizzare come mai nessuna sulla credulità del mondo. Il riscaldamento globale”).
“Nell’articolo – leggiamo su Climalteranti – Mingardi sostiene che tre argomenti del presidente degli Stati Uniti Donald Trump andrebbero presi sul serio: “Il primo è che l’innovazione tecnologica è la migliore risposta ai problemi ambientali, il secondo è che gli ambientalisti hanno una storia di predizioni risultate errate, il terzo è che da questi errori di previsione si può dedurre qualcosa circa i loro pregiudizi ideologici.”
Sono argomenti suadenti, che a prima vista potrebbero sembrare anche sensati. Ma se li si analizza con attenzione emerge che sono affermazioni generiche e senza fondamento nei fatti, vere e proprie bufale, che a loro volta tradiscono l’agenda ideologica di chi è interessato solo a difendere il “business as usual”.
La fiducia di Mingardi che l’innovazione tecnologica spinta dal libero mercato sia sufficiente ad affrontare la crisi climatica si basa sulla magia, è simile alla fanatica fede nel mercato che lo porta a pubblicare libri intitolati “Perché il mercato ha ragione anche quando ha torto”. Perché pur se è indubbio che l’innovazione tecnologica sia utile per rimediare ai problemi ambientali, e che sarà importante per affrontare la crisi climatica, non è affatto detto che sia sufficiente. Per centrare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi serve qualcosa di straordinario, riduzioni delle emissioni di gas serra drastiche e di una rapidità senza precedenti.
Il rapporto speciale dell’IPCC su 1,5° di riscaldamento globale ha spiegato in modo accurato (al capitolo 4) come la fattibilità delle azioni di mitigazione (e adattamento) coerenti con un contenimento del riscaldamento globale a 1,5°C ha diversi aspetti, tecnologici ma anche geofisici, ambientali, ecologici, socio-culturali, istituzionali. Scrive l’IPCC-SR1.5 nel Sommario per i decisori politici che “una governance multi-livello più forte, capacità istituzionale, strumenti politici, innovazione tecnologica, allocazione e mobilitazione di fondi e cambiamenti nel comportamento umano e negli stili di vita costituiscono altrettante condizioni abilitanti che aumentano la fattibilità delle opzioni di mitigazione e di adattamento per una transizione dei sistemi coerente con un riscaldamento di 1,5° C”. In altre parole, l’innovazione tecnologica è solo uno degli aspetti, non è certo da sola sufficiente”.
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