Un novembre che sa di primavera per Bari. Il Tar ha finalmente messo la parola fine a una delle vicende più attese e sperate della città. La bonifica del mostro

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Dove la parola “mostro” sta per Fibornit, la vecchia fabbrica chiusa nel 1985, messa in sicurezza “provvisoria” solo otto anni fa e che con il blu scolorito delle pareti ancora oggi imbottite di amianto giorno dopo giorno sta tracciando la linea della pericolosità e del rischio. Il blu che sta venendo via è un monito contro l’inefficienza della burocrazia che ha richiesto otto anni per sbrogliare la matassa degli appalti e dei ricorsi. A bonificare la Fibronit e a creare un  grande parco verde dove oggi ci sono colline di amianto sotterrato sarà la seconda ditta in graduatoria,  Teorema, che aveva presentato il ricorso.

«Siamo felici – dice Nicola Brescia, presidente del comitato cittadino Fibronit – ora spingeremo al massimo affinchè i tempi siano celeri e soprattutto perché la bonifica avvenga in sicurezza per l’abitato. Abbiamo proposto che tecnici di nostra fiducia possano affiancare quelli della ditta. Non è presunzione, ma precauzione».
La Fibronit è proprio dentro Bari. Non si trova in periferia o in una zona industriale ai piedi dello svincolo autostradale, ma è incastrata tra le case nei quartieri più popolari. È qui che il respiro polveroso della fabbrica per anni ha depositato un mantello bianco sulle finestre, sull’asfalto, sugli alberi, sulle giostrine dei bimbi.
Siamo stati in città qualche settimana fa: stiamo lavorando a un’inchiesta sull’amianto nelle scuole (di cui leggerete nel numero in edicola dal 10 dicembre) e a un docu-film su questo tema che riguarda più di 300 mila sudenti e docenti in tutta Italia.

E ci siamo occupati del complesso di scuole (ben sette) che si affacciano sui cancelli della fabbrica, che ne hanno respirato l’aria ammorbata di fibre per anni, e che secondo i piani della bonifica neanche esistono. Ma sono scuole pubbliche, dall’asilo alle medie. «Semplicemente per le carte non esistono – spiega Brescia – e invece abbiamo notizie di alcuni docenti che si sono ammalati di mesotelioma. Esistono eccome».
E ora la bonifica può iniziare. Ci sono 10 milioni di euro di fondi regionali pronti da anni e Bari non può più aspettare.
Il 15 febbraio 2007 il consiglio comunale di Bari aveva aggiudicato la gara europea per la messa in sicurezza permanente e per la redazione dello studio di fattibilità propedeutico alla realizzazione del parco al posto della fabbrica. L’appalto è stato vinto da un’Ati, costituita dalla società dell’ingegnere ambientale Claudio Tedesi e dalla Ad.eng che, invece, fa capo al barese Salvatore Adamo. Inizialmente sette imprese avevano presentato un’offerta, ma alla fase finale ne sono state ammesse solo quattro. Quella dell’Ati di Claudio Tedesi e di Salvatore Adamo che hanno già coordinato i lavori di messa in sicurezza provvisoria, è stata ritenuta la più vantaggiosa.

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Da quel momento in poi il progetto (o sogno?) della bonifica aveva dovuto registrare una battuta d’arresto: i ricorsi hanno congelato il percorso burocratico. E su tutto incombe l’ombra di una delle inchieste giudiziarie più complicate degli ultimi anni, “Black smoke”, per la bonifica dell’ex Sisas di Pioltello. Lo stesso Tedesi è stato arrestato il 22 gennaio 2014, con alti dirigenti e funzionari del ministero dell’ambiente, incluso il direttore generale Luigi Pelaggi: insomma, derubricandoli artatamente a rifiuti speciali non pericolosi, 87 tonnellate di rifiuti nocivi come il nerofumo (contenente elevati livelli di contaminazione da mercurio) sarebbero stati poi smaltiti nelle discariche di Pogliani presso Chivasso e Mariano Comense, senza alcun trattamento. Non solo: Tedesi, che fino a poche settimane fa era direttore generale della municipalizzata Asm che gestisce i rifiuti a Pavia, è stato licenziato. Episodio che arriva pochi giorni dopo la segnalazione da parte della stessa Asm di un ammanco da 1,8 milioni di euro. «Il licenziamento non ha una motivazione politica – scrive la Asm – e pur continuando a mantenere il dovuto riserbo sui motivi del licenziamento, si è trattato di una scelta dettata dalla tutela dell’interesse sociale e dell’impresa nell’ambito dei poteri che, per legge e per contratto, abbiamo il diritto-dovere di esercitare».

Chi ha conosciuto Tedesi ne parla come di una persona estremamente preparata e competente: «Speriamo che tutto avvenga al più presto e nel migliore dei modi. Abbiamo già sofferto troppo», ci dice Nico Carnimeo, associato al comitato Fibronit ed ex consigliere circoscrizionale. È stato una specie di cane da guardia dei lavori: ha fotografato l’operazione di messa in sicurezza, controllato lo smaltimento, fotografato le varie fasi. Il suo dossier è un prezioso archivio di documentazione fotografica e video. Vive tra la scuola e la fabbrica. I suoi figli hanno frequentato quelle giostrine tutti i giorni. Preoccupato? «Certo che lo sono. Proprio questa vicinanza ha fatto di me un combattente contro la Fibronit e per una bonifica efficace e definitiva. Abbiamo combattuto contro il progetto di costruzione. Immaginate le conseguenze di scavare in queste colline imbottite di amianto?».

«Si comincerà subito– ci rassicura l’Assessore all’Ambiente e allo sport del comune di Bari Pietro Petruzzelli – Contro l’amianto in città abbiamo ingaggiato una vera battaglia. I lavori dureranno tre anni anche con interventi importanti di rimozione dei manufatti. È come se avessimo la Fibronit alle spalle ma non ci siamo allontanati dal suo fantasma incastrato in mezzo ai palazzi. Come se fossero tanti palchi che hanno assistito a quella tragedia. La città di Bari ha pagato tanto, in termini di decessi e malattie dovute all’amianto». E quelle scuole, assessore, lei manderebbe i figli a scuola?  «Bella domanda. Probabilmente i miei figli vanno in una scuola dove vicino c’è l’amianto e non lo sappiamo. Perché l’amianto è dappertutto».