I giovani nati in Italia dopo il 1995 sembrerebbero essere ispirati da una spiccata attenzione a temi etici e più in generale alla sostenibilità delle aziende. Lo evidenzia una ricerca di PwC sul comparto fashion.
Lasciamo perdere per un attimo l’arcinota generazione dei millennials – di cui faccio parte – che mille ricerche ci hanno oramai raccontato. Concentriamoci su chi da qualche anno si è affacciato sul mondo dei consumi e direttamente o meno influenzerà le prossime politiche commerciali delle aziende.
Leggendo la ricerca si apprende come la generazione Z nell’acquistare i propri capi di abbigliamento sarebbe disposta a pagare per un prodotto sostenibile fino al 5% in più – secondo il 22% degli intervistati – e fino al 10% in più secondo il 17% degli intervistati. Numeri non ancora impressionanti ma che segnalano in ogni caso un trend che non può più essere derubricato a mera scelta naif. Addirittura il 42% degli intervistati ritiene che le aziende non comunichino in maniera abbastanza trasparente le informazioni sul prodotto.
Ma come recuperano informazioni questi giovani? Principalmente sul sito del rivenditore e poi sui social media, mentre in terza posizione troviamo il passaparola che, è il caso di dire, non passa mai di moda. La cosa che più colpisce è come lo strumento segnalato come più efficace per comunicare la sostenibilità sia l’etichetta. La Gen Z cerca invece ispirazione – scoprire nuovi marchi e prodotti, leggere recensioni e commenti – tramite i social network più visivi come Instragram e Snapchat. Inutile dire come il 41% utilizzi lo smartphone come principale dispositivo.
In conclusione, le aziende del fashion che hanno abbracciato convintamente il paradigma della sostenibilità farebbero bene a prendere nota e a stabilire subito una connessione con questi loro “piccoli” clienti, che paiono tutto fuorché sprovveduti. Ne va dei loro bilanci e un po’ del nostro futuro.
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