Non esiste una sola America, ne esistono infinte. E ciascuno ha la sua America da sognare, da conoscere o da immaginare. L’America del New England è un’America meno battuta dai viaggiatori italiani e meno evocata nella letteratura di viaggio.
New England, Mount Cadillac (Acadia National Park)
Testo e foto di Federico Solfaroli Camillocci
È l’America più antica, l’America storica, quella dei primi coloni, della rivoluzione contro gli inglesi: il New England è la culla di questo sterminato paese. Anche questa, comunque, è l’America della Natura forte e selvaggia, dei grandi spazi, delle highway, l’America on the road (a pensarci bene, Kerouac era di Lowell, Massachusetts).
Ciò che più ci ha impressionato in questo viaggio negli Stati del New England è la presenza dominante e costante degli alberi. Chilometri e chilometri quadrati di boschi, che coprono vasti territori percorsi da strade e autostrade che vanno da sud a nord, da est a ovest. Per la gran parte dei 2.700 chilometri percorsi con la nostra Chevrolet Malibu bianca dal Massachusetts al Maine, quindi nel New Hampshire, nel Vermont, ancora Massachusetts, quindi Rhode Island e di nuovo Massachusetts, avanzavamo in mezzo a file e file di alberi: querce, aceri, betulle, pini, olmi. Il verde delle foglie riempiva i nostri occhi, alternandosi all’azzurro dei laghi e dei fiumi, al blu dell’Oceano e al grigio delle rocce granitiche costiere.
“I luoghi che amiamo sono al tempo stesso una scoperta e un’invenzione,
li possiamo trovare perché sono già in noi.”
(Vittorio Lingiardi)
Alberi, centinaia di migliaia di alberi, un esteso mantello naturale della superficie, una sorta di vello della Terra, come ha scritto Olivier Rolin. Qui – a differenza di altri territori abitati dall’uomo – non si può certo dire che gli alberi siano stati relegati ai margini del paesaggio. Anche nelle zone più antropizzate (siamo in una delle aree più popolate degli Stati Uniti) la presenza umana non sembra aver lacerato il tessuto dell’ambiente, anche lì la natura è preponderante. Visitando questi luoghi si comprende il senso di tanta letteratura americana, di certe storie del cinema ambientate in questi luoghi: qui la natura appare più forte, e può davvero prevaricare i desideri dell’uomo.
Oltre alle distese boschive, anche il mare – le coste rocciose del New England, le baie battute dalle onde e dal vento – fa sentire la sua forte presenza, la sua potenza. La storia di Moby Dick si svolge proprio su queste acque. Ancora oggi tante imbarcazioni portano i turisti a osservare le balene a poche miglia dalla costa.
Attraversando questi territori, non possiamo fare a meno di pensare che essi furono strappati alle popolazioni indigene che per secoli le hanno abitate, popolazioni che oggi sono quasi interamente distrutte e delle quali resta traccia evidente nei toponimi di tante località.
Il viaggio
Siamo partiti in macchina da Boston venerdì 8 settembre con un clima simile a quello che abbiamo lasciato in Italia. La prima tappa è Concord, una cittadina dell’interno, a circa un’ora dalla capitale del Massachusetts, per rendere omaggio alla memoria di Henry David Thoreau, di cui lo scorso anno è stato il bicentenario dalla nascita. Qui, sulle sponde del piccolo e incantevole Lago Walden nel 1845 lo scrittore costruì una capanna dove trascorse due anni di vita solitaria e spartana, che descrisse nel libro Walden o Vita nei boschi, divenuto ormai la bibbia del movimento ambientalista. Mi sono commosso percorrendo il sentiero che circonda il laghetto fino al sito della sua capanna in legno nel mezzo del bosco. Leggendo il libro, molti anni fa, avevo vagheggiato questi luoghi, ma non avrei mai immaginato di trovarmi lì un giorno. Con piacere ho posato per una foto accanto al pannello che riproduce un brano di Walden che ho anche riportato in un mio libro:
“Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita,
e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi,
e per non scoprire in punto di morte che non ero vissuto.”
Henry David Thoreau
Attorno al sito della sua capanna sorge oggi una riserva naturale protetta, dove arriva gente dei dintorni e thoroviani di tutto il mondo. Il laghetto è uno specchio d’acqua azzurro nel quale non è raro vedere persone nuotare. Accanto al centro visite vi è una libreria a lui dedicata, sulle cui pareti campeggia la sua celebre frase “Dalla Natura selvaggia dipende la sopravvenienza del mondo” . Acquistando un libro che raccoglie alcune sue citazioni, noto che sullo scontrino compare il suo motto, valido oggi come allora: “Semplicità, semplicità”.
Da Concord abbiamo puntato verso nord in direzione della capitale del Maine, Portland. Dopo una sosta a Ogunquit, piccola località di vacanza sulla costa del New Hampshire, deviamo verso Cape Elisabeth per ammirare uno dei celebri fari bianchi della costa atlantica americana, voluto, si dice, da George Washington. Quando vi giungiamo, il vento accumula nuvole nere sopra il mare e uno scroscio di pioggia tra squarci di cielo azzurro disegna un ampio arcobaleno. La natura americana si mostra subito nella sua potenza impressionante.
Portland sembra una città in crescita, a metà tra un passato di villaggio di pescatori e un presente attento all’arte e ai giovani. È venerdì sera e i mille locali della zona portuale sono gremiti di giovani. Su un pontile, un gruppo suona musica country molto pop e la gente balla e ride; la birra che scorre a fiumi. Il mattino seguente facciamo un giro in città e nella zona costiera a nord. Seduta su una panchina sull’altura che domina il porto, una signora sui settant’anni al nostro passaggio ci chiede se siamo italiani. Anche la sua famiglia è di origine italiana, di Sorrento. Quando le spieghiamo che siamo diretti a Bar Harbor, ci suggerisce di prendere la litoranea anziché l’autostrada per non perdere Camden, la Portofino del Maine. Così, dopo Freeport lasciamo la 295 e seguiamo la linea che taglia la costa frastagliata e rocciosa del Maine. Dopo una sosta a Wiscasset, grazioso paesino di artisti e pescatori, giungiamo a Camden, elegante centro costiero dove pranziamo con un panino all’aragosta, il mitico lobster roll del New England, in un ristoro direttamente sulla baia, popolata da eleganti imbarcazioni.
A Bar Harbor ci accoglie un violento temporale, ma ormai è sera e non resta che organizzare la visita dell’Acadia National Park il giorno successivo.
Al mattino – è domenica – ci alziamo prestissimo per salire in macchina fino alla cima del Monte Cadillac, proprio al centro del parco. Il monte è avvolto da una nebbia fitta e fredda e disperiamo di vedere l’ampio panorama che si può godere da lassù. Ma dopo una paziente attesa all’improvviso la nebbia lentamente comincia a diradarsi, svelando una magnifica vista sui pendii di granito e sui boschi di conifere fino alla costa. L’oceano di un blu intenso è costellato di isolotti verdi, mentre verso l’interno si stendono boschi e laghi. Restiamo un po’ a guardare quello spettacolo, esaltato da una luce fortissima.
Quindi scendiamo al Jordan Pond, un lago dalle sponde di roccia rosa, immerso nella vegetazione, dove un vento fresco taglia l’aria e frusta lo specchio d’acqua blu. In questo ambiente naturale è evidente l’azione modellatrice di ghiacciai e vulcani. Dopo un breve giro in macchina nel territorio del parco, scendiamo a Sand Beach, una spiaggetta rosa baciata dal sole.
La presenza di molti frequentatori non guasta l’atmosfera idilliaca che regna in quella fascia di sabbia affacciata sull’oceano. Restiamo lì per un po’ a guardare in silenzio la distesa d’acqua illuminata da un sole tiepido. L’Italia è lontana, oltre quell’orizzonte, ma qui stiamo bene, protetti da una natura sfolgorante. A Bar Harbor, la località turistica portuale che sorge all’ingresso del parco, la vita scorre tranquilla, c’è movimento. È piacevole passeggiare sul fronte del mare, guardare le barche ormeggiate, e andare a zonzo tra negozi, godendo dell’aria vacanziera che si respira.
Dopo pranzo ripartiamo per coprire la lunga distanza che ci separa da North Conway, nell’interno del New Hampshire. Per giungervi attraversiamo un bel pezzo di Maine e New Hampshire, tra mille boschi, laghi gonfi d’acqua e centri abitati dai nomi che riecheggiano l’Europa: Naples, Freyburg.
A North Conway siamo tra le boscose montagne del New Hampshire che d’inverno ospitano gli appassionati di sci e d’estate gli amanti del trekking. Accanto al nostro hotel sorge un bel centro commerciale con outlet di marche famose. Un posto artificiale ma non brutto: sarà che questa è la patria del consumismo, ma qui accettiamo l’idea che se ne possa tirar su uno in mezzo alle montagne più intatte.
Il giorno dopo partiamo per una delle tappe più lunghe e interessanti del viaggio. Eccoci sulla Kancamagus Highway, dal nome di un capo indiano, detta “the Kanc”, una bellissima strada panoramica che attraversa la White Mountain National Forest, tra boschi di aceri, betulle, querce e conifere, che cominciano a tingersi dei colori dell’autunno. Fra qualche settimana questi luoghi saranno meta degli appassionati del foliage, che accorreranno in massa per ammirare l’esplosione dei colori dell’autunno e le mille sfumature delle diverse specie arboree nella mitica indian summer, la stagione mite che precede l’inverno. La Kanc è sgombra di cartelli pubblicitari e gli unici presenti invitano alla prudenza per la possibile presenza di alci.
Giunti a Lincoln, dove facciamo una breve sosta in un caffè pieno di gente dall’aria tranquilla, proseguiamo in direzione ovest lungo la 112 (le strade che vanno da est a ovest hanno numeri pari, quelle che vanno da nord a sud numeri dispari) attraverso le montagne che conducono nello Stato del Vermont, non lontano dal confine col Canada. A Woodsville viriamo verso sud prendendo la 91. Dalle alture ci sorprende una vista profonda delle colline ammantate di alberi.
Dopo più di un’ora di viaggio sui saliscendi del Vermont centrale, lasciamo l’autostrada all’altezza di Rockingham per inoltrarci all’interno della campagna collinare, imboccando una strada locale, che a tratti diventa sterrata, per giungere a Grafton, un piccolo villaggio stile vecchia America. La strada si inoltra tra boschi e radure in cui sorgono fattorie e case isolate nascoste nella boscaglia. Come dice il suo nome, questo è lo Stato verde per eccellenza. Sembra un luogo ideale per appartarsi e vivere tranquilli in mezzo alla natura.
Grafton è un gioiellino: poche case bianche raccolte attorno alla via principale, una chiesa, un piccolo museo, un’officina, la caserma dei pompieri, una locanda in stile Ottocento, The Old Tavern. La bandiera a stelle e strisce, immancabile, sventola sulla main street. La strada è deserta e silenziosa, la bella giornata di sole tinge il paesaggio di un’atmosfera di beatitudine. Mangiamo nello store del paese, MKT, dove ci preparano deliziosi panini con prodotti locali, tra cui il famoso formaggio del Vermont.
Da Grafton proseguiamo verso sud attraverso una valle bassa e ariosa, costeggiando fattorie, eleganti case di campagna, delimitate da staccionate bianche, per raggiungere un altro paese tipico segnalato dalle guide, Newfane. Stesso scenario idilliaco di un’America appartata e curata. Nella piazza principale tra il verde fiorito dei giardini spicca il bianco degli edifici che ospitano la chiesa, il tribunale e la Union Hall.
Dopo qualche decina di chilometri, superato Battleboro, riprendiamo l’autostrada per raggiungere Sturbridge, nel Massachusetts, dove ci attende un albergo davvero chic, il Publick House Historic Inn, uno storico albergo di rinomata tradizione dall’aspetto elegante e dotato di un ristorante di altissimo livello. Vi giungiamo nel tardo pomeriggio dopo aver percorso in un solo giorno oltre 800 chilometri.
Sturbridge è solo una piacevole tappa di avvicinamento al prossimo obiettivo, Newport, sulla costa meridionale del Rhode Island.
Newport, già sede per decenni dell’America’s Cup di vela, è una città davvero unica. Residenza di facoltosi imprenditori, è nota per le ville straordinarie, sia quelle d’epoca dell’Ottocento sia quelle più recenti, disposte in prossimità della baia e nella lussuosa Bellevue Avenue, nonché per le altrettante lussuose imbarcazioni che stazionano nell’esteso porto della città. Di fronte a tanta ostentata magnificenza ci appare chiaro il concetto di concentrazione della ricchezza. Facciamo un giro della città con un pulmino turistico, che lambisce la zona costiera, la zona universitaria e la chiesa dove si sposarono John F. Kennedy e Jacqueline. Il nostro albergo sorge su una piccola isola collegata alla città da un breve viadotto, a lato del grande porto.
Lasciato il piccolo stato del Rhode Island, rientriamo in Massachusetts alla volta di Cape Cod, attraversando la zona costiera nei pressi di Marion, tutta villette, verde e barche. Cape Cod, una lingua di terra a forma di amo da pesca lunga più di cento chilometri, meriterebbe qualche giorno per apprezzarne la bellezza. Le località interessanti sono tante. Noi ci spingiamo fino alla fine del Capo, nella vivace cittadina di Provincetown, dove sorge una torre in stile giottesco a ricordo dei Padri Pellegrini, che giunsero qui dall’Inghilterra nel 1620 a bordo della Mayflower. Dalla cima della torre si gode un vastissimo panorama sulla punta del Capo. A Provincetown è piacevole passeggiare nella via principale, piena di artisti, tipi alternativi e gruppi di turisti sbarcati dai traghetti provenienti da Boston. Verso sera raggiungiamo la spiaggia a nord della città, Rave Point Beach, per assistere a un tramonto indimenticabile tra le dune del Capo. Sogniamo di stare qui una settimana per visitare tutte le sue spiagge, le dune e le foreste del Capo, attraverso sentieri e piste ciclabili. Non a caso il pittore Edward Hopper prese casa tra queste dune e Thoreau venne quaggiù ad esplorare la natura.
L’albergo successivo è a Falmouth, più a sud. Si tratta del Sea Crest, posto direttamente sulla bellissima Silver Beach. Fare colazione con i gustosi muffin ai mirtilli seduti in vista della spiaggia dalla sabbia color argento rilassa e appaga.
Il giorno successivo da Falmouth prendiamo il traghetto che in circa 45 minuti ci porta sull’isola di Martha’s Vineyard (letteralmente La Vigna di Marta, nome attribuito da un esploratore britannico, sebbene qui non vi siano vigne né vinerie), da sempre meta di un turismo selezionato. Artisti e imprenditori, noti politici e benestanti pensionati percorrono le strade dell’isola e dei centri abitati pieni di locali e gallerie d’arte. Un biglietto giornaliero da 8 dollari ci consente di visitare l’isola a bordo di agili bus pubblici. La vegetazione lussureggiante di questa isola, larga poco più di 36 chilometri, ci richiama alla mente una lontana vacanza in Giamaica. Oltre alla vivace Edgartown, ci conquista la bellezza della spiaggia di Aquinnah, all’estremo sudovest dell’isola, dove ammiriamo le spettacolari scogliere di argilla dalle mille sfumature ocra e rosso, dominate dal caratteristico faro. Le scogliere si svelano al nostro sguardo emergendo da una nebbia persistente proprio mentre percorriamo la bella spiaggia sottostante. Qui un tempo vivevano gli indiani Wampanoag (che chiamavano quest’isola Noepe, cioè terra tra le correnti), a cui è dedicato un piccolo museo.
Boston
Il giorno seguente siamo a Hyannis, località esclusiva sulla costa meridionale del Massachusettse e venerdì pomeriggio è tempo di tornare a Boston. Un’ultima incursione sulla costa per ammirare le dune di sabbia di Sandy Neck Beach, quindi in macchina verso la capitale del Massachusetts.
Arriviamo a Boston, una bella città (forse non impressionante come New York) ma affascinante per essere stata la culla dell’indipendenza americana. I luoghi simbolo della storia degli Stati Uniti sono posti per la maggior parte sul cosiddetto Freedom Trail (il Sentiero della Libertà), un percorso pedonale che collega vari edifici e siti di rilevanza storica, dal centro della città fino alla zona portuale dove è ormeggiata la USS Constitution, storica nave militare di successo.
Boston ha pregi e difetti di tante metropoli americane. Downtown, il centro della città, composto di stradine strette e trafficate, appare dinamica di giorno e un po’ degradata di sera. Qui si trova l’Old State House, antica sede del governo coloniale, ora circondata da alti grattacieli. In centro, sotto la statua di Benjamin Franklin, uno dei padri della patria, campeggia una frase: “Un investimento in conoscenza paga sempre il miglior interesse”.
Quando cala il buio è preferibile spostarsi verso Faneuil Hall, per una cena a base di pesce alla Union Oyster House, locale storico sempre valido, o nel North End, gremito di frequentati ristoranti italiani di ottimo livello. È qui, nel quartiere nord, che si concentrano numerosi siti ed edifici della Boston più antica, come l’abitazione di Paul Revere e l’Old North Church.
Nelle sere del fine settimana attorno a Faneuil Hall e nel Quincy Market c’è una piacevole animazione. I ragazzi fanno disciplinatamente la fila davanti all’ingresso di pub e locali dove si beve, si mangia e si ascolta musica. In piazza c’è allegria, alcuni ragazzi suonano per strada.
Il modo migliore per visitare Boston è spostarsi a piedi o in metropolitana. Uno dei quartieri che meritano una passeggiata è Beacon Hill, strade strette e file di case basse in stile inglese, un tempo rifugio degli afroamericani e oggi ambìto quartiere dai prezzi inavvicinabili. Al centro della città sorge il Boston Common, il parco pubblico molto ben curato, dove ogni albero è corredato di targhetta con il nome della specie, frequentato nei giorni feriali da impiegati con cuffiette e bicchierone di caffè, e durante il fine settimana da giovani e turisti.
Dal Boston Common in pochi minuti spostandosi verso ovest si arriva a Newbury Street, per passeggiare sui larghi marciapiedi sbirciando le vetrine di negozi di abbigliamento e locali pubblici. Saliamo in cima alla Prudential Tower per ammirare il miglior panorama della città e visitiamo il Museo delle Belle Arti. Ne vale la pena, poiché ospita tante opere, di tutti i continenti. Oltre alle collezioni di dipinti americani, europei e asiatici, alcune sale espongono mobili e oggetti domestici, ricostruiscono ambienti tipici della vecchia America. C’è anche un bel Gauguin, alcuni caravaggeschi, un quadro che raffigura Villa Barberini a Roma.
Se ogni città ha la sua icona, Boston ne ha più di una, legata alla storia degli Stati Uniti. Tra i suoi simboli più commerciali giganteggiano i Red Socks, la squadra di baseball, la cui fama supera quella dei Celtics, la formazione di basket locale. I cappellini dei Red Socks sono, con la maglia della Harvard University, i souvenir più gettonati.
Una mattina attraversiamo il Charles River per visitare Cambridge, l’elegante quartiere che ospita l’Università di Harvard, fondata nel 1630. La città universitaria è una piccola cittadella immersa nel verde. Fuori della cittadella numerosi altri edifici più moderni ospitano la High School of Law, che celebra il suo bicentenario con il motto: “Moved to question, prepared to reason, called to act”. Qui è un crogiolo di giovani di tutto il mondo e nell’aria si respira cultura. Non lontano da Harvard, più vicino al fiume, sorge anche il MIT, il celebre Massachusetts Institute of Technology.
Una lunga passeggiata merita anche il Waterfront, lungomare moderno e panoramico, nella quale sorgono l’Acquario e numerosi alberghi e locali pubblici. In un piccolo giardino spicca la statua di Cristoforo Colombo.
Non possiamo rinunciare a vedere la città anche dall’acqua, così prendiamo un’imbarcazione che ci porta sul fiume, da cui si scorge il centro della città con i grattacieli che svettano sugli alberi del Boston Common.
Lasciamo Boston un lunedì sera. Il mattino seguente saremo di nuovo in Italia. Chissà se ci torneremo ancora. Di certo, qui – nella natura e nella cultura del New England – non ci siamo mai sentiti fuori casa.
“In ciascuno di noi esiste una geografia interiore
e probabilmente girare i continenti è un modo non tanto per conoscere regioni e città,
ma per verificare se quella particolare geografia interiore corrisponda a quella reale e vera.”
Giuseppe Lupo