Il mondo del riciclo è da mesi in subbuglio, da quando una norma sull’end of waste inserita nello Sblocca Cantieri rischia di portare il virtuoso comparto del riciclo indietro di 20 anni. Ne abbiamo parlato con l’avvocato Mara Chilosi, esperta di diritto ambientale.

end of waste

Nella seconda metà di giugno è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge 55/2019 di conversione del decreto Sblocca Cantieri, che contiene l’intervento in materia di cessazione della qualifica di rifiuto – end of waste. Un intervento legislativo che a detta di tutti i più qualificati esperti rischia di paralizzare il settore del riciclo in Italia. Abbiamo così deciso di rivolgere alcune domande a Mara Chilosi, partner dello studio legale ChilosiMartelli.

Avvocato, se oggi l’end of waste fosse un paziente quale sarebbe il suo stato di salute?

Non posso che rispondere pessimo, a malincuore. La cosa per certi versi incomprensibile è come una situazione che, per i tecnici del settore, era già ampiamente diagnosticabile da tempo, sia stata sottovalutata se non addirittura ignorata per mesi tanto dalla politica quanto dalle imprese.

Ci può spiegare meglio?

Se nel recente passato vi era una situazione che, per quanto critica e incerta, lasciava comunque degli spazi di manovra che consentivano di individuare caso per caso delle soluzioni percorribili, oggi non è più così perché il cosiddetto Codice Sblocca Cantieri, che avrebbe dovuto risolvere il problema, lo ha invece paradossalmente aggravato. Basti pensare che la riforma per la stragrande maggioranza dei materiali, si rifà, per stabilire i requisiti per l’end of waste, a criteri obsoleti e inadeguati individuati circa 20 anni fa, nel 1998 per i rifiuti non pericolosi e nel 2002 per quelli pericolosi.

A farne le spese sono soprattutto i cicli di recupero più innovativi, soggetti alle cosiddette autorizzazioni “caso per caso”, ora impedite dalla recente riforma. Certamente sono bloccate le nuove autorizzazioni o le modifiche delle autorizzazioni esistenti, ma è di pochi giorni fa la notizia che alcune Amministrazioni si stanno muovendo per revocare anche le autorizzazioni già rilasciate, bloccando attività già esistenti. Simili provvedimenti, se verranno effettivamente adottati, saranno sottoposti al vaglio dell’Autorità giudiziaria – alcune aziende ci hanno già chiesto una valutazione in merito e mi auguro che altre reagiscano con coraggio, facendo sistema – ma è indubbio che la nuova norma affossi il mercato delle materie secondarie derivanti dal recupero, con buona pace della tanto sbandierata economia circolare. Se il materiale non perde mai la qualifica di rifiuto, viene meno lo stesso scopo dell’attività di recupero. Alcuni rifiuti non potranno nemmeno essere sottoposti a recupero. Tutto il sistema si è paradossalmente appiattito – salvo che per le poche filiere già normate a livello europeo o statale – su norme nate anni fa per accordare semplificazioni ai cicli di recupero meno complessi e innovativi e, in alcuni casi, per incentivare l’emersione dal sommerso di tante piccole attività sino ad allora più o meno abusive.

Una situazione davvero paradossale e financo surreale, soprattutto a poche settimane dalla pubblicazione del decreto end of waste sui pannolini, che tanti attendevano.

Mi fa sorridere che si dica che tanti attendevano il decreto sui pannolini, visto che si tratta di una filiera di nicchia. I riflettori su questi rifiuti si sono accesi soltanto perché la nota sentenza del 2018 del Consiglio di Stato che ha dato il via a questa vicenda dell’end of waste riguardava un impianto che aveva sviluppato un ciclo di recupero di questo particolare materiale. In realtà l’impatto è su filiere molto più importanti per l’economia italiana, alcune delle quali non sono nemmeno contemplate nel calendario dei decreti annunciato dal Ministro.

Quando il mercato è tale da creare delle filiere consolidate è giusto che vi sia un decreto end of waste nazionale, nessuno mette in dubbio la necessità di avere dei criteri uniformi nazionali, ma se si decide che questo è l’unico sistema alternativo ai DM sul regime autorizzativo semplificato non è pensabile licenziare un decreto ogni qualche anno come fatto sinora, ne servono almeno cinque al mese vista la quantità di filiere interessate.

Vorrei inoltre che fosse chiaro che la problematica di cui parliamo non interessa solo gli impianti di trattamento dei rifiuti in senso stretto, ma riguarda anche l’uso di rifiuti in un ciclo diretto di produzione in sostituzione di materia prima “vergine”.

Un altro effetto paradossale della nuova norma è stato quello di generalizzare l’applicazione di norme tecniche nate per disciplinare procedure semplificate (i DM 5 febbraio ‘98 e 161 ’02) anche ad autorizzazioni frutto spesso di istruttorie lunghe e complesse che vedono la partecipazione di vari enti e organi. Prima si dava per scontato che, con una procedura ordinaria, si potessero introdurre variazioni anche rispetto ai cicli di recupero disciplinati nei DM, mentre oggi questa possibilità è espressamente preclusa. Si possono variare soltanto i quantitativi. È una norma priva di senso.

In ordinaria inoltre sono state rilasciate tantissime autorizzazioni che prevedono l’uscita di rifiuti che per essere ulteriormente raffinati devono andare in impianti diversi. Il richiamo ai DM, che disciplinano cicli di recupero completi, è critico anche sotto questo profilo.

Secondo lei, perché siamo arrivati a questo punto?

Fatico davvero a comprenderlo. Non capisco se all’origine di questa vicenda ci sia un difetto di conoscenza del settore – indubbiamente complesso – da parte della politica oppure se siano norme che nascono dal pregiudizio nei confronti di un settore in cui sono innegabilmente presenti sacche di malaffare, ma non si può fare di tutta l’erba un fascio: vi operano infatti eccellenze imprenditoriali, che sviluppano continuamente sistemi innovativi esportati in tutto il mondo e che richiedono visione politica e risposte concrete, adeguate e tempestive. Sorge il dubbio che alla base di questo approccio ci sia anche una diffidenza nei confronti delle Amministrazioni, di cui si vuole limitare il campo di azione.

Una situazione davvero incredibile visto che già lo scorso dicembre, con gli emendamenti al decreto semplificazioni e alla manovra di bilancio, erano state evidenziate queste criticità al Ministero rispetto ad una norma che aveva un testo addirittura migliore rispetto a quello finale.

Per assurdo, se non saranno apportati i necessari correttivi, alla lunga si rischia che aumenti l’illegalità, perché persone spregiudicate disposte a riempire capannoni di rifiuti ci saranno sempre. (n.d.r. vedasi recenti e numerosi casi di cronaca).

Come uscire da questa situazione di stallo?

Se non c’è una modifica dello Sblocca Cantieri non se ne esce. E dispiace che il Ministro abbia affermato che è meglio questa norma di niente, perché – ormai dovrebbe essere chiaro a tutti – è vero semmai il contrario. Le autorizzazioni in ordinaria potevano almeno consentire variazioni e aggiornamenti rispetto alle obsolete previsioni dei DM sulle semplificate, cosa che, come ho già spiegato, oggi non è più possibile.

In tutto questo l’Italia rischia di incorrere in una violazione della normativa europea?

Noi in questo momento abbiamo una norma che di fatto limita fortemente il recupero di rifiuti in aperta controtendenza rispetto agli obiettivi europei che da qualche anno riferiamo all’Economia Circolare. L’Italia rischia di perdere un’occasione e profili di violazione della normativa sono a nostro avviso ravvisabili e se ne avremo l’occasione cercheremo di dimostrarlo nelle sedi opportune.

In tutto ciò, non troppo tempo addietro, c’era un grande interesse dei fondi di investimento e di società straniere perché l’Italia da sempre esprime delle eccellenze in questo settore, ma l’interesse sta scemando anche in ragione di queste incertezze. Si consideri anche che gli imprenditori italiani del settore del recupero stanno aprendo impianti all’estero. In Italia si manterrà lo stoccaggio mentre la lavorazione verrà fatta all’estero, con un’ulteriore prevedibile impennata dei costi a carico delle imprese e dei cittadini. Prepariamoci quindi a diventare esperti di trasporto transfrontaliero di rifiuti! Vogliamo questo? È questa la nostra idea di società del riciclo?

Durante l’estate si è assistito ad uno sconquasso governativo. Al Ministero dell’Ambiente però è rimasto il generale Costa. Cosa aspettarsi da questa nuova maggioranza di Governo? Quali le istanze urgenti da sottoporre?

Che si cambi questa norma consentendo il rilascio delle autorizzazioni end of waste caso per caso, eventualmente definendo anche dei requisiti minimi che devono avere questi provvedimenti. Il tutto grazie ad una norma transitoria che non riguardi soltanto le autorizzazioni già rilasciate, ma tutte le autorizzazioni.

Si potrebbero come minimo richiamare gli standard di prodotto o le norme tecniche standardizzate laddove esistenti. Per moltissimi materiali ci sono norme tecniche che disciplinano i requisiti di prodotto; non si capisce quindi perché gli stessi requisiti non possano essere utilizzati ai fini dell’end of waste.

Per domande o chiarimenti: andreadbdg@gmail.com