Quando si parla di cohousing descriviamo un sistema abitativo costituito da alloggi privati di dimensioni contenute e spazi comuni – indoor e outdoor – per le attività di tutta la comunità. In nord Europa e nell’area metropolitana di New York questo modo di vivere è piuttosto diffuso: qui non mancano esempi di gruppi che acquistano interi immobili da ristrutturare o che ne costruiscono di nuovi, anche all’interno delle città.
Gli eco-villaggi, invece, sono un tipo di organizzazione abitativa piuttosto diffusa anche in Italia, tanto che è stata creata un’organizzazione apposita: la RIVE, Rete italiana dei villaggi ecologici.
I principi di costruzione di questi due sistemi sono fondamentalmente gli stessi, così come anche le loro caratteristiche di gestione: autocostruzione delle case, convivenza, uso di energie rinnovabili, autosufficienza alimentare.
Di Laura Tallarida per Houzz
In molti insediamenti ogni luogo è progettato, costruito e gestito dagli stessi abitanti. I futuri proprietari delle abitazioni e degli spazi comuni partecipano attivamente alla costruzione, dedicando tempo e professionalità. L’impegno degli autocostruttori a prestare la propria opera manuale in cantiere per un numero di ore contabilizzate e monetizzate secondo criteri precisi consente un forte contenimento dei costi di costruzione. La questione economica non è però il motivo principale per autocostruire il proprio spazio.
Affinché questi gruppi funzionino e il progetto di autocostruzione si concretizzi, infatti, è necessario che vengano guidati da un team di esperti in mediazione, progettazione architettonica e direzione dei lavori. Esulando da qualsiasi logica di profitto, il team deve contribuire a sostenere le attività del gruppo di autocostruttori. È dunque essenziale che, oltre ad avere le competenze professionali, il team creda anche nel valore umano e sociale del lavoro fatto insieme. Solo in questo modo il gruppo può essere accompagnato durante tutto il processo di costruzione e aiutato a risolvere eventuali problemi e conflittualità.
Uno stile di vita collaborativo è non solo fondamentale, ma anche indispensabile per favorire lo sviluppo di reti di aiuto e di socializzazione. La collaborazione iniziata con l’autocostruzione continua all’interno del gruppo con l’autoproduzione che consente di raggiungere l’indipendenza dell’intero insediamento.
L’autoproduzione alimentare è fattibile all’interno di villaggi distanti dalle città, là dove è possibile immaginare uno spazio dedicato alle coltivazioni. L’area comune è perciò attrezzata per ospitare orti di culture biologiche autogestiti. Dove è possibile non mancano anche piccole fattorie, che richiedono però più tempo e una organizzazione più complessa dell’intera comunità.
L’autosufficienza non è però solo alimentare: più spesso è energetica ed è perseguibile anche in città. Se l’insediamento è progettato per avere spazi comuni, è anche concepito per avere un buon risparmio energetico. Il risparmio parte già dalla costruzione, visto che il reticolo degli impianti è ridotto, e passa dalla gestione, perché la spesa e il consumo energetico dei macchinari è diviso fra i proprietari.
A questo punto, l’energia elettrica o termica che deriva dai sistemi fotovoltaici o di pannelli solari può essere sufficiente.
I materiali più utilizzati sono quelli naturali che, se applicati con idonee tecniche costruttive, non comportano alcun problema in termini di ponti termici, umidità, trasmissione del rumore; inoltre possono assicurare bassi consumi per il riscaldamento e il raffreddamento. In genere i materiali naturali non producono inquinamento e sono facilmente riciclabili.
Leggi l’articolo completo su Houzz