Venerdì scorso il presidente americano Barack Obama ha annunciato che la Casa Bianca ha rigettato definitivamente la richiesta della compagnia TransCanada Corp di costruire il maxi oleodotto transfrontaliero, noto come Keystone XL.

Il progetto, che abbiamo seguito per anni con reportage da Alberta e North Dakota, è stato considerato dal movimento ambientalista una lotta prioritaria per contrastare il cambiamento climatico. L’oleodotto, lungo 1.900 chilometri, avrebbe infatti permesso l’export verso il Golfo del Messico di 800mila barili di petrolio, in particolare sabbie bituminose. Questo tipo di petrolio è noto per la sua intensità carbonica, dato che richiede ingente energia nella fase dell’estrazione e del processamento.
Secondo l’inquilino della Casa Bianca, Keystone XL non avrebbe creato lavoro, né tanto meno diminuito il costo del carburante, e neppure avrebbe reso gli USA più sicuri dal punto di vista energetico «L’America ha deciso di investire in una strategia energetica che diminuisca la dipendenza da fonti fossili inquinanti», ha commentato durante una conferenza stampa.
STRATEGIA DIPLOMATICA PER PARIGI
Per Obama venerdì è stato il momento che ha definito la sua legacy, la sua eredità politica. Il presidente ha mostrato di volere seriamente gli USA in prima linea nella lotta contro il cambiamento climatico. Una vittoria che porterà a Parigi per la Conferenza per il Clima, dove spera di poter essere l’uomo che farà sedere tutti (con qualsiasi strumento diplomatico) al tavolo per trovare un accordo da firmare e far celebrare dalla stampa mondiale.
«L’America è oggi un leader globale, quando si parla di lotta al cambiamento climatico», ha dichiarato Bill McKibben, uno degli ambientalisti in prima fila nella lotta contro Keystone XL. Segno che Obama ha fatto breccia definitiva nel mondo green statunitense, cresciuto a dismisura dal 2008, quando sono iniziate le proteste contro l’oleodotto. Nel 2011 il climatologo James Hansen, Bill McKibben e altri 200 attivisti vennero arrestati davanti alla White House, durante un sit-in di protesta. Oggi la musica è cambiata.
IL CANADA NON POTRA’ ESPORTARE IL PROPRIO PETROLIO?
La notizia della cancellazione di Keystone XL è arrivata come una bomba a Alberta e nelle sedi delle compagnie petrolifere canadesi, che per anni hanno fatto pressione per realizzare l’infrastruttura al fine di sfruttare al massimo le ingenti riserve dell’Alberta (seconda al mondo dopo l’Arabia Saudita per depositi petroliferi) e creare nuova occupazione. Le recenti elezioni hanno visto la vittoria del liberal Justin Trudeau, in opposizione al climanegazionista, conservatore Stephen Harper. I liberali hanno promesso in campagne elettorale che non avrebbero costruito il Northern Gateway, un oleodotto da 500mila barili al giorno per commercializzare verso l’Asia le sabbie bituminose. Ora con il blocco del Keystone per i petrolieri si presenta come un ostacolo concreto per poter far crescere le esportazioni e l’estrazione petrolifera.
Il veto di Obama non fermerà però l’import di petrolio dal Canada. Attualmente gli Usa importano 3 milioni di barili di petrolio al giorno dal vicino canadese (+56% rispetto al 2008). Tre volte più dell’Arabia Saudita. Infatti, sebbene Obama si fregi di questo successo, egli stesso mette il veto a Keystone XL in prospettiva «Questo progetto non era la quadratura del cerchio per l’economia (come sostenevano i repubblicani, nda), né tanto meno la corsia preferenziale per il disastro climatico profetizzato da altri». Non ci sarà l’oleodotto ma le vie del petrolio sono infinite.