Negli ultimi due anni sono stati più di 100 gli incendi che hanno colpito i centri per la raccolta, lo smistamento e il trattamento di rifiuti differenziati in Italia. Esiste una regia unica? Forse, e il bandolo della matassa potrebbe trovarsi in Veneto.
di Stefania Divertito
Ennesimo incendio in un centro di smaltimento rifiuti. Questa volta siamo in Lombardia e il centro è la Eredi Bertè di Mortara, nel pavese. Il prefetto di Pavia Attilio Visconti avverte: «Pericolo diossina» e i sindaci di Mortara e dei comuni limitrofi raccomandano: «Tenete chiuse porte e finestre. Non uscite».
L’allarme è stato lanciato mercoledì mattina poco dopo le 6.30. Una grossa nuvola nera si alzava in cielo sopra i tetti di Mortara, centro della Lomellina. Il fumo era visibile nel raggio di 15 km. Le fiamme sono partite da uno dei capannoni della ditta che si occupa di stoccaggio di metalli e rifiuti speciali. Vigili del fuoco da tutta la provincia, da Milano e dal Piemonte 12 squadre al lavoro.
L’epilogo di questo incendio già lo conosciamo e probabilmente non si discosterà molto dall’epilogo di uno dei cento incendi che, negli ultimi due anni, hanno colpito i centri per la raccolta, lo smistamento e il trattamento di rifiuti differenziati in Italia. Ciò che piuttosto ci domandiamo è perchè società come la Eredi Bertè di Mortara vanno a fuoco.
Veneto: protagonista di una scia di incendi
Per trovare il bandolo di questa matassa, forse dovremmo andare indietro nel tempo e guardare con più attenzione al Veneto.
Nel 2015 la regione, che vanta percentuali tra le più elevate di raccolta differenziata, è stata costretta a fronteggiare continuamente incendi con una caratteristica comune: le fiamme aggrediscono i centri per la raccolta, lo smistamento, il trattamento di rifiuti differenziati. Vanno in fumo carta, plastica, ma anche rifiuti pericolosi.
In quell’anno, in Veneto, ci sono stati almeno 21 incendi di natura dolosa. Il fenomeno, già in crescita nei due anni precedenti (in particolare vanno segnalati i due attentati incendiari a distanza di pochi giorni nel febbraio 2014 a San Biagio di Callalta, in provincia di Treviso, entrambi contro la Bigaran servizi ambientali, azienda che si occupa di trattamento e recupero di rifiuti) indica un’attività criminale, dotata di notevoli capacità operative e organizzative, finalizzata a condizionare il mercato della raccolta e smaltimento rifiuti. Vicenza, Verona, Padova, Treviso le province più colpite. Spesso ad andare a fuoco sono impianti essenziali per chiudere il ciclo dei rifiuti.
E questo, è esattamente ciò che è accaduto a Roma negli scorsi mesi. La Eco X di Pomezia è stato solo uno degli esempi, quello che ha catalizzato l’attenzione dei media. Ma a giugno anche a Viterbo c’è stato un incendio molto vasto, Monterotondo ha pagato il suo tributo con le fiamme che hanno avvolto un centro di riciclaggio, a Castelforte un episodio simile e sulla Pontina il deposito dei cassonetti Ama è andato a fuoco proprio negli stessi giorni. In alcuni casi si è parlato di autocombustioni: «È una sciocchezza, non può essere» afferma Costantino Saporito, coordinatore nazionale dell’Usb dei Vigili del Fuoco. «Soprattutto quando parliamo di plastica perché, quando riesce realmente a bruciare, non fa una fiamma ma si scioglie. L’elemento pericoloso, semmai, sono le polveri di legno che possono causare microesplosioni. Ma non può accadere con la casistica che vediamo ogni giorno sotto i nostri occhi».
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nei primi sei mesi del 2017
Esagerato parlare di Modello Veneto?
La domanda che tutti si fanno è: c’è forse una regia unica? Per il Veneto, evidentemente, gli investigatori credono di sì. Tanto che è stato creato un nucleo investigativo concentrato sul nord e su questi episodi che in Lombardia, Toscana e appunto Veneto, possono mettere in ginocchio il ciclo virtuoso dei rifiuti.
È un’aggressione ben mirata ed è il modello Veneto che si sta esportando in buona parte dell’Italia. L’allarme è stato lanciato dal presidente della Commissione ambiente capitolina Daniele Diaco. Però per ora non c’è nulla di ufficiale. Le indagini si svolgono ancora in maniera delocalizzata. La procura di Perugia, ad esempio, è la più attiva perché si snodano lì alcune piste che portano ai signori della gestione di rifiuti. Come vigili del fuoco siamo allertati. Non è esclusa la regia mafiosa. La domanda da porsi è “Chi ci guadagna?”» conclude Saporito.
“Segui i soldi”
Durante le indagini la domanda principale che guida ogni attività investigativa è sapere chi ci guadagna e quindi: “Segui i soldi”.
«Con lo Sblocca Italia si è dato il via a una movimentazione di rifiuti urbani tra le regioni che fanno arricchire i soliti noti» ci dice una fonte della procura nazionale antimafia che preferisce rimanere anonima. «Quando in una provincia si crea un ciclo virtuoso dei rifiuti, con la separazione della differenziata e il riuso, il riciclo, anche grazie a aziende private con un alto livello di tecnologia, questo traffico di rifiuti infraregionale viene molto disturbato». E la parola traffico non viene utilizzata casualmente. Lo Sblocca Italia diventa legge alla fine del 2014 e gli incendi agli impianti iniziano con questi ritmi proprio nei primi mesi del 2015. Tutti con la stessa tipologia, tutti con gli stessi obiettivi. Il caso Pomezia aveva catalizzato l’attenzione, ma è solo uno dei tanti incendi che stanno colpendo il settore. Parlare di “guerra dei rifiuti” non sembra affatto allarmistico.
«Guarda caso, gli incendi si sviluppano soprattutto in quelle province dove le performance della differenziata sono in continuo aumento», ci suggeriscono dall’Antimafia. Guardando la lista degli incendi negli ultimi due anni sorprende infatti proprio la localizzazione: nel 90% al centro nord. Non brucia la Calabria, né la Sicilia, a parte alcuni episodi che sono letti nell’ottica dell’intimidazione diretta ad alcune aziende. Non ci sono casi in Campania, escluso il discorso delle ecoballe accumulate a Taverna del Re, nel casertano.
Il turismo dei rifiuti
Walter Ganapini è fra i massimi esperti sul ciclo dei rifiuti in Italia, oggi direttore generale di Arpa Umbria: «Distruggere gli impianti di separazione e riciclaggio è un colpo pesantissimo alla filosofia europea di riuso, recupero e riciclo delle parti utilizzabili del rifiuto. È un enorme favore fatto a chi detiene discariche e a chi vuole costruire inceneritori sul modello dello Sblocca Italia».
«Certo è curioso che tutti questi impianti vadano a fuoco» sottolinea Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente. «Sia la commissione bicamerale di inchiesta sul Ciclo dei rifiuti, sia la direzione antimafia devono far luce sulla dimensione nazionale del fenomeno, sulla frequenza dei casi e sul numero effettivo di incendi dolosi».
Il sistema è in grado di reggere il colpo di continui incendi? «Se vanno in tilt gli impianti di riciclo – continua Ciafani – ne beneficiano quelli di smaltimento, cioè discariche e inceneritori. Quando un centro per l’avvio al riciclo brucia, gli imballaggi che andavano in quello stabilimento vengono interrati o bruciati, oppure vanno in impianti più lontani». Tir che viaggiano per l’Italia trasportando rifiuti: un business da milioni di euro, appalti comunali e regionali che con il riciclo di prossimità sta perdendo ossigeno. E soldi. È lì che bisogna investigare. Ma la commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti, guidata da Alessandro Bratti, ha per ora osservato solo la vicenda di Pomezia. È arrivato il momento di ampliare il raggio di azione.