«Concorrenza sleale. Uber Pop non può più operare a Milano e nel resto d’Italia». A dirlo è il tribunale di Milano che ha bloccato l’app della società americana che, di fatto, consentiva a chiunque di fare l’autista-tassista con la propria auto.

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Il giudice Claudio Marangoni, della sezione Imprese, ha accolto il ricorso presentato un mese fa dalle organizzazioni sindacali e di categoria, locali e nazionali, di tassisti e radiotaxi. Pare quindi abbiano vinto i tassisti ed è stato quindi bloccato uno dei servizi che UBER mette a disposizione dei propri utenti oltre ai già offerti Uber Berlina Nera e Uber Van. Nei servizi già consolidati dalla multinazionale americana, le auto sono guidate da autisti professionisti e con licenza. Con UberPop, invece, viene offerto un servizio formalmente simile a quello del car pooling, che permette a chi si sta per mettere in viaggio con la propria macchina di trovare qualcuno con cui condividere le spese di pedaggio e benzina. A mediare tra cliente e autista ci sarà sempre Uber, che si occuperà anche del pagamento della corsa (la tariffa è di 0,49 centesimi al minuto dei quali UBER guadagnerà il 20%) e di garantire la qualità del servizio.
Servizio che fin da subito non ha convinto nemmeno il Comune di Milano:  «Non si tratta di car pooling – affermava all’epoca l’Assessore Pierfrancesco Maran –  perché viene applicata una tariffa. Il fatto che l’autista possa lucrare lo rende a pieno titolo un tassista abusivo, esposto anche alla sospensione della patente».
Anche secondo il giudice Marangoni UberPop non è paragonabile al servizio di car pooling perché nel caso della app «l’autista non ha un interesse personale a raggiungere il luogo indicato dall’utente e, in assenza di alcuna richiesta, non darebbe luogo a tale spostamento».
Altra osservazione: «Ciò sembra ingenerare anche un dubbio sull’effettiva attitudine di UberPop a creare vantaggi alla collettività in termini di riduzione dell’inquinamento atmosferico e consumo energetico, posto che esso sembra al contrario stimolare l’uso di mezzi privati senza che, rispetto a tale uso, possano essere poste in essere misure di programmazione e regolazione generale della mobilità che sembrano unanimemente considerate come lo strumento principale di intervento nel settore del trasporto urbano e non».