Il 22 marzo, come ogni anno, si celebra la Giornata Mondiale dell’Acqua: il momento giusto per parlare di sfruttamento delle risorse idriche da parte della zootecnia italiana. Uno dei temi maggiormente dibattuti quando si parla della produzione di carne e salumi riguarda la sua impronta idrica, e per quanto si possa pensare il contrario, in questo ci sono buone notizie: se si parla di acqua utilizzata per la produzione di un chilo di carne, l’Italia ne impiega il 25% in meno rispetto alla media globale. Non solo, di quest’acqua solo una minima parte viene effettivamente “consumata”.
L’impronta idrica, o “water footprint”, si ottiene sommando l’acqua di evapotraspirazione utilizzata dalle piante per vivere (green water), l’acqua utilizzata dai processi produttivi o per irrigare i campi (blue water) e l’acqua necessaria a diluire e depurare gli scarichi (grey water). Per le carni e i prodotti agroalimentari in generale, la componente di “acqua verde” è di gran lunga la più significativa delle tre, tanto che costituisce la quasi totalità dell’impatto.
Parliamo ad esempio di carne bovina, quella per cui serve più acqua: rispetto alla media globale di 15.415 litri di acqua, per produrne 1 kg l’Italia impiega solamente 11.500 litri. Di questi, l’87% è costituito da “green water”, ossia acqua che si rinnova come quella piovana. Si giunge allo stesso risultato se si considerano le tre principali filiere (bovina, avicola e suina): circa l’80-90% dell’acqua utilizzata è piovana mentre solo il 10-20% deriva da, pozzi, canali irrigui e, in piccola parte, da acquedotti.
Ma perché in Italia per produrre carne si usa molta meno acqua di quanto si faccia altrove?
Le ragioni stanno soprattutto nel sistema zootecnico nostrano che, basandosi sulla combinazione di allevamenti estensivi ed intensivi, permette elevati livelli di efficienza e riduzione dell’uso non solo di acqua, ma in generale di risorse naturali. Inoltre, la produzione italiana avviene generalmente nelle aree con le maggiori disponibilità idriche, come la Pianura padana.
Riepilogando: la quasi totalità dell’acqua utilizzata per produrre carne arriva delle piogge e torna dunque nel suo ciclo naturale, mentre e l’acqua potabile effettivamente consumata si riduce a quantità decisamente inferiori rispetto ai dati complessivi che si è soliti sentire riportare. Non solo, il fatto che il settore agroalimentare sia oggi fra i più innovativi in Italia permette di sfruttare tecnologie anche molto avanzate di gestione delle risorse idriche, legate ad esempio al recupero e alla depurazione delle stesse.
Al di là delle innovazioni e dei metodi di allevamento, comunque, per risparmiare quella che è generalmente considerata la risorsa più preziosa del nostro pianeta il trucco sta soprattutto nell’evitare di sprecarla. Ma anche nell’equilibrio. Considerando la quantità di carne consigliata in una dieta completa (3 porzioni da 70 – 100 g alla settimana), emerge infatti che mangiarne in giusta quantità non comporta un aumento significativo dell’impatto ambientale.
Giornata Mondiale dell’Acqua, la zootecnia italiana ne usa un quarto in meno
