Carne in vitro: soluzione etica al cambiamento climatico?

Con un disegno di legge portato dal ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, alla seduta del Consiglio dei ministri di martedì 28 marzo, in Italia è stata di fatto vietata la produzione di alimenti derivati a partire da colture cellulari o tessuti di animali vertebrati. Tema molto controverso, ovviamente, su cui però occorre fare chiarezza, anche a livello di impatti di questi prodotti su clima, ambiente e salute umana.

La carne artificiale prodotta in vitro viene oggi proposta come un’alternativa più sostenibile alla carne vera. Ma è veramente così? È vero che la carne coltivata in laboratorio è la soluzione al cambiamento climatico?

«Innanzitutto, esistono vari tipi di sostituti della carne» spiega il Professor Giuseppe Pulina, Docente di Zootecnica Speciale presso l’Università di Sassari e tra i primi 1000 top animal scientist al mondo. «Le colture cellulari in vitro, o artificial lab-grown meat, derivano da cellule staminali prelevate da animali vivi e coltivate in laboratorio; i sostituti vegetali della carne, o plant-based meat, sono invece dei “polpettoni” di vari vegetali o funghi additivati per assumere consistenza e sapore della carne, ma non hanno neanche lontanamente le qualità nutrizionali della carne; infine, i derivati da bioprocessori microbici, o biofermented meat, che sono batteri ingegnerizzati in grado di fermentare dei substrati e produrre proteine, che verranno separate e trasformate non solo in carne, ma anche latte, uova, pesce e alimenti vegetali. L’interesse dell’industria e degli investitori verso questi prodotti è enorme».

«La carne in vitro si ottiene prelevando delle cellule staminali dai muscoli degli animali in vivo – continua Pulina – si coltivano in una soluzione di nutrienti costituita da sieri prelevati da vitelli e da neonati, addirittura sieri placentari. In questo brodo nutritivo si fanno crescere le cellule che vengono poi inserite in una matrice, tipo una spugna, dove queste si moltiplicano. Dopo di che queste fibre destrutturate vengono macinate, additivate e inserite all’interno di un panino e vendute sottoforma di hamburger, che è l’unica modalità con cui oggi vengono preparate».

Aspetti nutrizionali

Chi propone questi prodotti sostiene che siano vantaggiosi perché più etici, meno impattanti sull’ambiente e più salubri. Ma è davvero così?
«In realtà, dal punto di vista nutrizionale sono carenti di vitamina B12, ferro e altri nutrienti che non riescono ad essere integrati nella matrice» spiega Pulina. «Sono meno adatti alla nostra alimentazione, perché non si riesce a integrare nella matrice il valore nutrizionale completo della vera carne e non sono nemmeno più salutari, né più sostenibili. La carne in vitro è additivata e priva di elementi nutritivi fondamentali e ha anche residui, perché bisogna usare antibiotici per produrla».

Parlando invece di alternative vegetali alla carne, il professor Pulina cita uno studio di metabolomica che confronta gli hamburger bovini con i suoi sostituti vegetali. «All’apparenza l’etichetta nutrizionale sembra la stessa, ma se inseriti all’interno di un analyser, una macchina di laboratorio che analizza il metaboloma, esaminando centinaia e centinaia di prodotti del metabolismo, il risultato è che ci sono delle enormi differenze. Tra i plant-based e quelli di carne vera ci sono 171 metaboliti diversi su 190 analizzati. Quindi, anche se vengono presentati al consumatore come dei prodotti simili, in realtà non è così. Sono prodotti completamente diversi e l’uno non può sostituire l’altro».

Aspetti ambientali

Perfino sotto il profilo della sostenibilità, ricorda Pulina, questi artefatti emettono più CO2 degli allevamenti, in quanto il bioreattore per coltivare la carne in laboratorio è ad alto dispendio energetico. Ci sono poi gli aspetti sociali e culturali, a cui nessuno sembra più badare. «La carne in vitro non è sostenibile neppure socialmente, perché porta all’impoverimento delle aree rurali e ad un ulteriore squilibrio nell’accesso al cibo, cancellando le tradizioni culturali e gastronomiche di tutti i popoli» sottolinea Pulina. «La carne artificiale coltivata in laboratorio emette CO2 e non metano, ma mentre con gli allevamenti emettiamo in campagna e quindi nello stesso luogo dove viene riassorbita, le fabbriche e i bioreattori per produrre la lab-grown meat emettono nuova CO2 che resta in atmosfera molto più a lungo del metano dei ruminanti. Quindi non è vero che sono meno impattanti».

Chiediamo infine al Professor Pulina se questo fenomeno è destinato a sgonfiarsi o a raccogliere sempre più consumatori disinformati.

«I media stano facendo un’enorme disinformazione a proposito» conclude lo scienziato. «C’è una volontà di spostare i consumi alimentari: diversamente da altri settori, sono consumi rigidi e per aumentarli devo ridurne altri. Quindi si cerca di creare nuovi investimenti e nuove mode. È da qui che nascono le fake meat che vengono contrabbandate come carni vere. Questi prodotti non sono più sani, né meno impattanti, e nemmeno cruelty free, una denominazione fuorviante, sgradevole e irrispettosa di una professione: quella dell’allevatore, antica e piena di sacrifici».