(editoriale apparso sul numero di dicembre di BioEcoGeo)

Scrive il filoso Diego Fusaro come “l’attuale modo di produzione e di esistenza, nel suo stato costante di emergenzialità temporale, abbia portato ad un’accelerazione senza storia, e dunque senza futuro, del nostro modo di vivere”. Si vive in un presente iperdinamico, di consumo, di produzione, di emozioni, di scambi affettivi, e soprattutto di comunicazione. Un presente che si replica costantemente, dove un futuro alternativo sembra semplicemente non esistere.

giornalismo ambientale in presa diretta
giornalismo ambientale in presa diretta

Se esiste un settore dove la storia (sia con e che senza maiuscola) sembra essere scomparsa completamente questo è il mondo della comunicazione diffusa ai tempi del social web, ai tempi dell’instant-news. L’obsolescenza accelerata dell’informazione è sostenuta da un costante megaflusso di informazione, attraverso mille canali differenti. Miliardi di memi, di bit di informazione, di foto, commenti, news, opinioni scambiati per notizie.
Spazi di comunicazione fatti di comunità che condividono ideologie e valori comuni, con la tendenza a diventare camere dell’eco. Spazi dove l’informazione dimentica anche solo quanto accaduto poche settimane prime. Informazione che non guarda a ritmi diversi di quelli di un economia finanziaria che muove capitali in frazioni di millisecondi. Che non cerca narrative altre, che non anela a tempi lunghi. Lo slow-news è un concetto che, semplicemente, non esiste.

Eppure la Terra, il clima, l’uomo, la civiltà, la cultura sono altro che un eterno presente iper-accelerato. Esse sono il risultato di una lunga, complessa evoluzione storica basata su un principio vitale, <strong>bios, che, contrariamente all’entropia del nostro universo, cerca sempre un costante equilibrio di sopravvivenza, con un eleganza chimica senza eguali nel cosmo. Hanno dunque, innato, un futuro. Una tendenza a replicarsi, preservando un equilibrio, costantemente negoziato tra forze opposte. Senza la storia genetica e la complessa geneaolgia delle idee, oggi l’uomo non sarebbe l’essere complesso e straordinario che è. Senza ricerche decennali, fatte di attente revisioni e confutazione, la scienza non saprebbe raccontarci le meraviglie dell’universo. Banalmente, il vino, senza il suo affinamento, sarebbe semplice aceto.

L’età della modernità matura, tuttavia, a partire dalla Rivoluzione industriale, e dall’accelerazione della produzione legata al potere dei combustibili fossili, ha lentamente operato per erodere, da un lato, la storia e, dall’altro, per far dimenticare il futuro. L’effetto primario della velocizzazione dei processi economici ha deprezzato uno dei beni fondamentali dell’uomo: il tempo.

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Era il 1977 quando i Sex Pistols urlavano “No future”. Avevano perfettamente ragione. L’umanità stava consumando sempre più velocemente il pianeta senza pensare al futuro, della terra e delle generazioni non ancora nate. Consumando risorse come suolo, acqua, biodiversità, atmosfera, che avrebbero richiesto millenni per ristabilirsi. Appropriandosi del tempo della Natura.

L’immaginario nucleare di Hiroshima, della Seconda Guerra Mondiale e lo spetto della guerra atomica avevano mostrato, per la prima volta, l’annullamento del futuro per l’umanità. Allo stesso tempo scienza ed arte avevano distolto lo sguardo dalla Terra per soffermarsi sull’indagine profonda dell’individuo , sulla rappresentazione superficiale della terra (quanti danni ha causato la cartografia nella geopolitica), sulla comunicazione di massa. Henry David Thoreau era un ricordo nei circoli culturali, e i semi di Rachel Carson, della geografia culturale, dell’ambientalismo, della ricerca sul clima dovevano ancora germoliare. L’uomo semplicemente aveva smesso di vedere la complessità del pianeta e la sua natura di super organismo. E i suoi (e nostri) tempi.

Oggi, più che mai c’è bisogno dunque di riaprire una narrazione che sia da un lato comprensiva della storia (gli insulsi dibattiti sugli eventi di Parigi ne sono un’importante indice, dove i fatti terroristici e le risposte guerrafondaie sono state analizzate esclusivamente nella rabbia, tutta “social”, del momento, senza minimamente analizzare le diramazioni storiche) e dall’altro persegua la funzione di garantire il sacrosanto diritto di equità intergenerazionale, lo splendido diritto che sancisce uguale accesso alle risorse della terra per le generazioni che verranno.

Un ruolo che tocca ad artisti, scienziati, scrittori, cittadini e anche giornalisti. Poiché nell’epoca dell’accelerazione serve una narrazione di qualità, slow, super-partes, capace di raccontare il mondo globale e le piccole realtà locali, perseguendo quest’obbiettivo. Che sia capace di riportare in vita i tempi della terra e dell’uomo.

Ecco allora una sfida interessante che si pone BioEcoGeo, magazine con cui collaboro dal lontano 2010, con il suo rilancio editoriale. Una sfida che vogliamo portare avanti con i lettori, con piglio di accuratezza scientifica, dove la notizia si basa su approfondimenti, scenari, su cronache lente, da luoghi e temi dimenticati, in Italia e non solo, che aiutino a comprendere il nostro pianeta, la nostra società la nostra economia. Storie che ci raccontino come costruire un mondo a prova di futuro, intelligente, senza allarmismi, senza falsa scienza e ideologia di partito. Storie e Storia. Una buona medicina antipopulita e anti-establishment.