Gli allevamenti sono considerati da alcuni come il male assoluto per l’ambiente perché ritenuti i maggiori responsabili del cambiamento climatico. Le cose stanno davvero così?
La risposta è negativa.
La zootecnia, escludendo le attività dalla stalla in poi, come il trasporto e la lavorazione di prodotti quali carne e latte, non contribuisce ad aumentare le emissioni di gas a effetto serra in atmosfera, ma li diminuisce, di circa il 10%.
A dirlo lo studio “Influence of carbon fixation on the mitigation of greenhouse gas emissions from livestock activities in Italy and the achievement of carbon neutrality”, pubblicato sulla rivista scientifica Translational Animal Science.
Lo studio sull’impatto degli allevamenti italiani
La quantità di emissioni generate dagli allevamenti è inferiore all’ossigeno prodotto e al carbonio sequestrato nel ciclo di allevamento e nella produzione dei foraggi, quindi l’impronta carbonio degli allevamenti è a favore dell’ambiente, spiegano gli studiosi. Tra le attività collegate alle emissioni di gas climalteranti dovuti alle attività zootecniche c’è, oltre al metano prodotto dai ruminanti, quello che deriva dalla fermentazione e dalla gestione delle deiezioni degli animali da allevamento.
Per nutrire i capi di bestiame vengono coltivate e utilizzate piante che fissano il carbonio e quindi sottraggono anidride carbonica dall’atmosfera. “Sono state quantificate e sommate – si legge nello studio – le emissioni relative alle fermentazioni ruminali, quelle relative al letame, alla gestione e diffusione degli animali delle specie allevate in Italia, nonché quelle legate al letame rilasciato dagli animali al pascolo. Sono quindi state calcolate le emissioni dovute alla respirazione degli animali ed è stata calcolata e sottratta dall’atmosfera l’anidride carbonica fissata dalle principali colture impiegate in zootecnia.
Il ruolo delle specie vegetali
Inoltre, sono state considerate le emissioni derivanti dalla coltivazione di specie vegetali, riconducibili alla lavorazione del suolo, alla produzione di fertilizzanti e pesticidi, all’elettricità, ai combustibili e al funzionamento delle macchine”. Dai dati emerge che in Italia la CO2 fissata nella vegetazione coltivata per l’alimentazione degli animali è di circa il 10% superiore alla somma di quella emessa dagli animali allevati e dall’intero processo che ne fa parte.
Nello specifico: tutti i vegetali coltivati per alimentare gli animali allevati nel nostro Paese contribuiscono a rimuovere dall’atmosfera circa 73.000.000 t di anidride carbonica; tutti i processi e le pratiche coinvolte per la coltivazione delle stesse piante comportano un’emissione di circa 6.000.000 t di anidride carbonica equivalente; al netto delle emissioni, le piante coltivate per l’alimentazione del bestiame hanno un bilancio positivo di gas serra di circa 67.000.000 t di anidride carbonica sottratte.
L’influenza della fissazione del carbonio dovrebbe essere probabilmente presa in considerazione per calcolare l’impatto ambientale in termini di impronta di carbonio dei prodotti agricoli e animali. In questo modo si dimostrerebbe la carbon neutrality, che caratterizza i processi produttivi dei prodotti agricoli e delle produzioni animali a differenza di altri cicli produttivi.
Da una parte il carbonio biogenico attraversa un ciclo mentre il carbonio fossile è unidirezionale, dal basso verso l’alto nell’aria, dall’altra l’anidride carbonica prodotta dai combustibili fossili è un gas di riserva, il che significa che si accumula nell’atmosfera e non fa parte di un ciclo. È un fatto che l’emivita dell’anidride carbonica è maggiore di quella del metano e del protossido di azoto, quindi ai fini della mitigazione dell’effetto serra, la rimozione della CO2 è molto efficiente in termini di tempestività. Di conseguenza la fissazione del carbonio nel calcolo dell’impronta di carbonio nei prodotti di origine animale è un fattore molto rilevante.
“Questo tipo di equilibrio – conclude lo studio – dovrebbe quindi essere considerato in tutti i metodi di calcolo del carbon footprint per i prodotti di origine animale. In questo modo si dimostrerebbe la carbon neutrality, che caratterizza i processi produttivi dei prodotti agricoli e delle produzioni animali a differenza di altri cicli produttivi e quindi gli impatti ambientali dei prodotti di origine animale sarebbero più corretti”.