In un pianeta che si sta scontrando con la limitatezza delle sue risorse e della sua capacità di smaltire molte fonti di inquinamento, l’economia circolare riveste un ruolo ormai fondamentale. Tanto che presto gli sprechi non saranno più permessi, sia per motivi ambientali che per ragioni economiche, e la capacità di valorizzare al meglio ciò che fino a poco tempo fa era destinato ad essere solo un rifiuto sarà sempre più importante. In questo senso, la filiera zootecnica è particolarmente virtuosa, essendo quella che in campo agroalimentare genera meno scarti.
Rispetto ad altri settori industriali, quello agroalimentare è forse il più complesso: lo studio degli impatti deve tenere sempre conto delle molte interazioni tra le diverse filiere produttive. Questo è ancor più vero nella produzione di carni e salumi, dove gli scarti sono ormai quasi azzerati. Dagli allevamenti, infatti, gli unici rifiuti che si possono considerare tali sono i residui che rischiano di veicolare agenti infettivi, e che non potendo essere usati vengono smaltiti in appositi impianti.
Saponette, fertilizzanti, caglio naturale e biogas, Economia circolare - la filiera zootecnica tra le più virtuose - BEG 1
Quando si parla di allevamenti, generalmente si considera solo la produzione di carne, ma questa rappresenta solo una (spesso piccola) parte di ciò che si ottiene dagli animali. di cui l’Italia è terzo produttore mondiale; o ancora borse, scarpe, dispositivi medici e valvole cardiache: sono solo pochi esempi fra le migliaia di prodotti e sottoprodotti che si ottengono grazie alla produzione di carne e salumi.
La quantità di carne destinata al consumo alimentare umano varia a seconda del tipo di animale. Nei bovini e suini è di circa il 50-55% e nei polli e tacchini di circa il 60%. Ecco perché, da che mondo è mondo, del maiale – e degli animali da reddito in generale – non si butta via niente. Giusto per fare qualche esempio, pensiamo alla pelle: quella bovina e ovina è usata per beni durevoli come il pellame, lana e il cuoio, a loro volta utilizzati per la produzione di scarpe, borse, cinture o per ricoprire divani e sedili di barche, aerei e auto, oppure i loro volanti e la leva del cambio.
Un altro esempio che ci ricorda l’origine animale di moltissimi prodotti di uso quotidiano sono il grasso bovino e quello suino, utilizzati nell’industria cosmetica per fare il sapone. Ossa e altri tessuti non destinati al consumo alimentare umano sono invece utilizzati per produrre farine proteiche, fertilizzanti e cibi per animali da compagnia come cani e gatti. Ma anche i loro giocattoli, generalmente fabbricati con ossa o cartilagini bovine.
Non tutto il cibo derivante dai co-prodotti di origine animale è però destinato ai nostri amici a quattro zampe: il caglio naturale, unico coaugulante permesso nella produzione di formaggi DOP come Grana Padano e Parmigiano Reggiano, viene prodotto dall’industria casearia grazie all’abomaso dei bovini, l’ultima delle quattro cavità di cui è composto lo stomaco dei ruminanti.
E che dire dei prodotti utilizzati in campo medico e farmaceutico? Come il tessuto pericardico fornito da bovini e suini impiegato per la preparazione di dispositivi medici quali le valvole cardiache, per le ricostruzioni gengivali o nella produzione di patch addominali per la sutura chirurgica. O ancora le ossa e le cotenne, molto utili per l’incapsulazione dei farmaci.
Bovini, ovini, suini, ma anche polli. Anch’essi forniscono infatti utili prodotti, oltre alla loro carne. Come le piume, ovviamente, o la pollina per la produzione di energia; o ancora il grasso, utilizzato per la produzione di mangimi e, in quantità sempre maggiori, per un biodiesel che, secondo la Nasa, è un biocarburante per aerei non solo rinnovabile, ma anche molto meno inquinante dei carburanti tradizionali.
Di utilizzi di elencare ce ne sarebbero ancora migliaia, letteralmente. Basti pensare che da un singolo capo bovino si possono ottenere fino a mille prodotti. Ma anche i pochi esempi sopra elencati dimostrano quanto sia importante valorizzare gli animali da allevamento. E magari rispettare maggiormente chi ci lavora, invece di demonizzare un settore che, come quello zootecnico, oltre all’enorme quantità di lavoro indotto che riesce a generare fornisce utili prodotti nell’ottica di un’economia circolare sempre più necessaria.